il manifesto 15.9.17
Netanyahu campione dell’indipendenza curda
Medio
Oriente. Il premier offre il sostegno di Israele alla creazione di uno
Stato curdo. Sa che la frantumazione dell'Iraq e, in futuro, forse anche
della Siria indebolisce gli avversari di Israele e mette in difficoltà
anche Turchia e Iran
di Michele Giorgio
GERUSALEMME
I riflessi del referendum per l’indipendenza del Kurdistan iracheno,
previsto a fine mese, continuano ad infiammare il dibattito regionale e a
tenere in fibrillazione gli Stati coinvolti direttamente, l’Iraq, e
indirettamente, Siria, Turchia e Iran. La consultazione però interessa
anche gli Stati Uniti – artefici della “piena autonomia curda” quando al
potere in Iraq c’era il nemico Saddam Hussein – la Russia e diversi
altri Paesi. Tra questi Israele, da sempre vicino alla causa dei curdi
iracheni. Così mentre sono in corso intensi negoziati e movimenti dietro
le quinte per affondare il referendum – l’alleanza che la Turchia di
Erdogan sta provando a stringere con l’Iran ne è una dimostrazione – o
per imporre il rinvio della consultazione, il premier israeliano
Netanyahu è stato il primo leader “occidentale” a pronunciarsi
apertamente a favore della proclamazione di uno Stato curdo. I
palestinesi sotto occupazione israeliana invece dovranno aspettare,
forse per sempre. L’uomo alla guida del governo più a destra della
storia di Israele ha tuttavia precisato che per lui il Pkk di Abdallah
Ocalan è un’organizzazione «terroristica», prendendo le distanze dalle
affermazioni di senso opposto fatte di recente dall’ex vice capo di
stato maggiore Yair Golan.
Tanta passione per i diritti dei curdi
si spiega con la lettura israeliana dell’attuale quadro politico e
strategico della regione. Il referendum curdo, se il voto come si
prevede sarà a favore della separazione dall’Iraq, avrà un effetto
domino a partire dalla Siria. Qui i curdi, con l’appoggio americano, di
fatto già controllano e governano gran parte del nord del Paese, ed è
opinione diffusa che subito dopo il Kurdistan iracheno sarà il Rojava a
votare per l’indipendenza, forse la prossima primavera. Non sorprende
che negli ultimi mesi Damasco abbia usato toni più duri nei confronti
delle intenzioni dei curdi siriani, anche perché sono sostenute da
Washington. La nascita di entità separate in Iraq e in Siria va nella
direzione auspicata dal governo Netanyahu che punta all’indebolimento
degli avversari di Israele, a cominciare dalla Siria. Senza
sottovalutare che l’indipendenza curda in Iraq metterebbe in difficoltà
anche il “nemico numero uno”, l’Iran. Israele ha tutto da guadagnare
dall’acuirsi della crisi tra curdi e arabi e il suo premier gioca sui
tavoli della diplomazia tutte le carte che ha in mano. In questi giorni
sta riallacciando buone relazioni in America latina dove, fino a qualche
tempo fa, si tifava apertamente per i diritti dei palestinesi.
Netanyahu è stato accolto con entusiasmo dal presidente argentino
Mauricio Macri e ha rafforzato i legami (storici) tra Israele e
Colombia.
L’attivismo diplomatico del premier israeliano punta
molto anche sullo sport. Israele ora aspetta il Giro d’Italia 2018 che
per la prima volta nella sua centenaria storia partirà al di fuori
dell’Europa, grazie anche ai milioni di euro che gli sponsor israeliani
hanno messo sul piatto. La corsa prevede tre tappe in Terra Santa e sarà
presentata lunedì prossimo a Gerusalemme, alla presenza di due
campioni: Ivan Basso e Alberto Contador. Obiettivo principale è fare in
modo che il ciclismo internazionale celebri a Gerusalemme i 70 anni
dalla nascita dello Stato di Israele.
Netanyahu non raccoglie solo
successi. Ufficialmente è solo un rinvio eppure la decisione del
presidente del Togo, Faure Gnassingbè, di rimandare a data da destinarsi
il vertice Africa-Israele che si sarebbe dovuto tenere dal 23 al 27
ottobre prossimo a Lomè, rappresenta un duro colpo per il premier
israeliano. Al rinvio ha contribuito in maniera decisiva l’opposizione
al vertice da parte di alcuni Stati africani-arabi, in particolare
l’Algeria, la Mauritania, il Marocco e la Tunisia (esplicitamente
ringraziati dall’Olp). Netanyahu – che nel 2016 aveva visitato Ruanda,
Kenya, Uganda, Etiopia – punta al riavvicinamento con diversi Paesi
africani per sottrarli al sostegno alla causa palestinese, soprattutto
in sede Onu. E per questo potrebbe organizzare il vertice in Israele nel
2018 con gli Stati africani che non fanno parte della Lega araba.