il manifesto 14.9.17
La libertà delle donne cuore dello scontro
di Bia Sarasini
È
senza fine, lo strazio della violenza contro le donne. Ieri Lucio
Marzo, 17 anni, ha confessato di avere ucciso Noemi Durini, 16 anni,
scomparsa dal 3 settembre. E ha portato i carabinieri nel luogo dove ne
aveva nascosto il corpo, sotto alcuni massi. Sempre ieri, è stato
denunciato un tentativo di stupro sulle scale del Campidoglio, a Roma.
L’aggressore sarebbe un israeliano. La notte precedente ancora a Roma lo
stupro di una ragazza finlandese, da un ragazzo del Bangladesh.
Di
qualche giorno fa la denuncia delle ragazze americane a Firenze, appena
prima la giovane donna polacca stuprata a Rimini. Lo strazio è
infinito, mille connessioni che si allargano come onde, dal punto in cui
è stata esercitata la violenza. Avranno conseguenze nelle vite di tutte
le persone coinvolte. Penso ai genitori di Noemi, alla madre, che non è
riuscita a convincerla che quel ragazzo era violento. Non è servita
neanche la denuncia che aveva presentato per ottenere l’allontanamento
di quel ragazzo dalla figlia, non era stato preso nessun provvedimento.
Le
adolescenti sfidano i genitori, la madre in special modo, come fare a
proteggerle senza renderle prigioniere? È una domanda che non ha facili
risposte. O meglio. Non le ha oggi. Oggi che le ragazze sono libere, nei
paesi come nelle metropoli. Oggi che i divieti e le proibizioni non
sono più la regola condivisa.
E la libertà – delle donne, delle
ragazze – è il punto geometrico del conflitto. La solidarietà, perfino
il dolore, sono pieni di ombre, di dubbi. Perché quelle ragazze sono in
giro di notte? Perché si fidano di chiunque? Perché si permettono di
andare in giro come se fossero dei ragazzi, dei maschi? Si ipotizza che
Noemi sia stata uccisa al culmine di una lite.
Sulla sua pagina
facebook l’ultimo post fa pensare. L’immagine è il viso di una donna
malmenata, a cui qualcuno tappa la bocca. Il testo comincia cosi: «non è
amore se ti fa male». Su instagram il profilo è più esplicito: «Il
giorno che alzerai le mani ad una donna, quello sarà il giorno in cui
ufficialmente non sarai più un uomo». Aveva capito? È stata punita
perché voleva la libertà? Un’azione diretta, un atto di guerriglia
individuale, lo definisco. Come lo stupro, le aggressioni sessuali.
Tentativi di sottomissione, per mantenere l’ordine patriarcale. Contro
tutte queste donne che si permettono di aggirarsi libere per il mondo. E
per questo è così difficile ascoltarne la voce, a parte la retorica
della vittima, che si rivela sempre più finta. Non è solo l’antico gioco
delle donne perbene messe contro quelle per male. Il conflitto è a
tutto campo, nelle vite private come nello spazio pubblico, nelle forme
inedite della vendetta. Anche nella scena mediatica. Che non vuole
lasciare la parola alle donne, alla loro visione.
Quel grande
interprete del sentimento medio che è Bruno Vespa l’ha detto senza
esitazione a Porta a Porta: «La prima vittima è l’Arma». Il corpo delle
donne rimane un pretesto. Usato contro i migranti, per legittimare il
razzismo. Occultato di fronte alla “grande onta” della perdita di onore
maschile. Eppure le femministe lo dicono da sempre. La violenza, lo
stupro sono compiuti da uomini. Giovanissimi e anziani, di qualunque
nazionalità, colore, religione. Qualunque divisa indossino. Oggi è tempo
di dire di nuovo che le donne sono, siamo, libere. Che stiamo nel
mondo. Perché non tornare nelle strade di notte, insieme?