Il manifesto 13.9.17
La famiglia sconfinata
Scaffale.
L'ultimo libro della sociologa Chiara Saraceno, pubblicato da Laterza
interroga gli «equivoci» generati da padri, madri & altri
di Vittorio Filippi
Famiglia
è una delle parole più usate nel lessico della quotidianità e uno dei
concetti ritenuti più chiari, più semplici, perfino più (apparentemente)
«naturali». Un termine che diamo per scontato nella sua (supposta)
ovvietà. E su cui, per pigro trascinamento semantico, portiamo avanti
tutta una serie di stereotipi e di preconcetti che ci impediscono di
vedere le profonde e veloci trasformazioni che negli ultimi decenni
hanno rivoluzionato la stessa parola famiglia, tanto è vero che negli
Stati Uniti il Censis Bureau vi aggiunge l’espressione living
arrangement.
CHIARA SARACENO, figura notissima di studiosa di
sociologia della famiglia, in questo veloce volume (L’equivoco della
famiglia, Laterza, pp. 208, euro 15) ci aggiorna sulle vicende della
famiglia italiana facendo soprattutto pulizia delle ambiguità e delle
ovvietà che vi pullulano e che rendono spesso la famiglia un ideale o
una ideologia. In sette capitoli affronta agilmente tutti quei mutamenti
– che in sintesi definiamo sociali, ma che in realtà sono demografici,
culturali, religiosi, lavorativi, tecnologici, di welfare, giuridici –
che hanno trovato nella famiglia il pivot più eclatante e visibile ma
che in realtà sono i mutamenti con cui la modernità e la post modernità
hanno rovesciato, in pochi lustri, la società italiana.
Una
«apocalisse culturale» per dirla con de Martino, una «grande
trasformazione» per dirla invece con Polany, che sono silenziosamente
avvenute tra le mura di casa, nella quotidianità del vivere insieme,
nelle relazioni affettive e di cura che connotano le figure dette
appunto familiari. Saraceno parla di famiglia come «sostantivo plurale» e
di famiglie «(s)confinate», cioè con architetture affettive ampie,
mutevoli, variegate che spesso vanno al di là delle rigide (e datate)
definizioni normative e talvolta anche degli schemi mentali di qualcuno.
Tratta anche di nuovi padri e nuove madri (e anche del diventare
genitori nell’epoca della riproduzione assistita). E dei diritti dei
bambini, in primis ad avere dei genitori, pure dello stesso sesso, ma
anche il diritto a essere liberati dallo sfruttamento lavorativo –
64mila minori di 14 anni hanno avuto un infortunio sul lavoro nel 2013,
dice l’Inail – nonché il diritto allo ius soli per quella seconda
generazione di migranti nati e cresciuti qui.
Si fanno più
complessi poi i rapporti e i passaggi tra generazioni, generazioni
sempre più squilibrate per motivi demografici, lavorativi, di welfare,
perfino tecnologici, anche se «gli anziani costituiscono spesso l’unica
rete di protezione disponibile per le generazioni più giovani», ammette
Saraceno. Nonostante sia molta la ricchezza nascosta nel lavoro di cura –
appannaggio com’è noto delle donne – il gender gap italiano è
sconcertante. Perché le donne continuano a essere penalizzate dal minor
tasso di occupazione e dai bassi salari. Per non parlare delle troppe
madri (il 20%) che devono abbandonare il lavoro per occuparsi dei figli
(specie il secondo o il terzo).
Al di là delle immagini
edulcorate, inoltre, la famiglia ha anche un suo lato oscuro talvolta
ospitato dalla cronaca nera: quasi una donna su tre è vittima di
violenza nel corso della vita, frutto di «modelli di genere
polarizzati», a cui vanno aggiunti i casi di matricidio e parricidio.
E
INFINE LE POLITICHE per la famiglia, sollecitate dal calo della
fecondità, dalla povertà dei nuclei numerosi, dalla maggior occupazione
delle donne e dall’invecchiamento del paese: politiche che latitano non
solo per motivi finanziari, ma anche perché fanno riferimento a modelli
che non esistono più – ecco un esempio di «equivoco della famiglia» –
mentre il dibattito sulle politiche di sostegno diventa facilmente
ideologico («quali» famiglie aiutare?) e quindi inconcludente.
UN
LIBRO INDICATO soprattutto per coloro che – ignorando o respingendo la
dilatata complessità delle famiglie attuali – si rifugiano con accorata
nostalgia nella famiglia (astratta perché idealizzata e ideologicizzata)
di un astorico buon tempo antico. Dimenticando la lezione di uno dei
padri della sociologia, il francese Emile Durkheim, che nel 1888
scrisse: «Non esiste un modo di essere e di vivere che sia il migliore
per tutti (…). La famiglia di oggi è né più né meno perfetta di quella
di una volta: è diversa, perché le circostanze sono diverse».