il manifesto 1.9.17
«Via i neri dal quartiere»: clima teso al Tiburtino dopo l’assalto al centro
Roma.
La polizia presidia i cancelli della struttura d'accoglienza dopo il
ferimento martedì dell’eritreo, che accusa: «Questo è razzismo». Baobab:
«Siamo stati inseguiti e ingiuriati da una folla ormai fuori controllo»
di Adriana Pollice
ROMA
All’origine degli scontri di martedì notte al Tiburtino III, quartiere
popolare del quadrante est di Roma, non ci sarebbe stata l’aggressione
di un migrante eritreo, Yacob Misgn, a un gruppo di ragazzi del luogo,
seguita dal tentativo di vendetta della madre di uno di loro, assistita
da un gruppo di residenti. Sarebbe nato tutto dal rifiuto di dare una
sigaretta. Ieri, ai microfoni di Sky, uno degli ospiti del centro della
Croce rossa di via del Frantoio ha raccontato: «Questa signora, che nel
quartiere tutti conoscono, ha chiesto una sigaretta all’eritreo, che
spesso raccoglie cicche per strada. Poi la donna, che era col nipote di
13 anni, si è molto arrabbiata e il ragazzino che era con lei ha
conficcato un pezzo di ferro nella schiena dell’eritreo. Non c’è stato
nessun sequestro. I ragazzi del centro hanno pensato di chiudere il
cancello in attesa dei carabinieri».
YACOB è ricoverato
all’ospedale Pertini con una ferita alla schiena guaribile in 30 giorni,
la procura indaga, il reato ipotizzato è lesioni gravi. Il padre del
tredicenne ha 36 anni, è appena uscito di prigione ed è senza lavoro. Ha
avuto cinque figli, poi si è separato e con la sorella della moglie ha
avuto altri due figli. Il tredicenne era con la zia, attuale compagna
del padre, martedì sera: «È un bambino buono – lo difende il padre -. Ho
dovuto insistere perché andasse al mare, voleva rimanere a casa con me.
Quell’uomo sarà stato accoltellato da uno dei suoi amici migranti».
Yacob è stato ascoltato dai carabinieri. Secondo il gruppo che ha
assaltato la struttura, avrebbe scagliato delle pietre ai ragazzi che lo
prendeva in giro: «Ho fatto solo il gesto, ma non ho lanciato i sassi –
ha spiegato -. Questo è razzismo, io non ho fatto nulla. Appena
guarisco voglio tornare in Eritrea. Non nutro rancore, non voglio
vendetta ma ho avuto tanta paura».
Ieri il gruppo di residenti che
non vuole i migranti nel quartiere ha continuato a farsi vedere al
cancello della struttura: «Stiamo pensando di organizzare una
manifestazione per chiederne la chiusura. Non siamo razzisti ma qui la
sera non si può più uscire. Vanno in giro a gruppi, ubriachi, danno
fastidio alle ragazzine. Ci sono furti continui. Siamo esasperati».
LA
SINDACA Virginia Raggi ha commentato: «Non bisogna scatenare guerre tra
poveri» mentre l’ex sindaco, Gianni Alemanno, ha preso le parti della
sommossa. Da Casa Pound a Forza Italia, tutta la destra chiede che il
centro vada via dal Tiburtino III. «Il clima di odio che sta montando in
Italia non ha precedenti nella storia recente» ha commentato il
parlamentare di Mdp, Arturo Scotto.
QUAL È LA SITUAZIONE lo
raccontano gli attivisti di Baobab experience, presenti martedì: «Alcuni
di noi sono arrivati sul posto intorno alle due di notte, trovando un
gruppo di cittadini, una ventina in quel momento, in evidente stato di
sovraeccitazione. A bloccarli un cordone di polizia. Il migrante era
accusato dalla gente di aver trascinato un ragazzo dodicenne all’interno
per abusarne». Qualcuno del Baobab riesce a entrare per chiedere
notizie del ferito: «Alcuni agenti ci hanno intimato di allontanarci,
con la minaccia di essere portati in commissariato con l’accusa di
interruzione di pubblico servizio. Le ambulanze erano bloccate
all’esterno. Abbiamo fatto presente agli agenti che uscire, in quel
momento, era molto pericoloso ma non c’è stato nulla da fare. Usciti dal
cancello, ci siamo ritrovati circondati. Sono partite immediatamente le
minacce, gli insulti, la violenza. Una volontaria è stata colpita alla
guancia da un forte manrovescio. Abbiamo urlato agli agenti di
proteggerci e solo allora si sono decisi a intervenire».
Dopo
pochi metri la polizia li ha lasciati soli: «Siamo stati inseguiti e
ingiuriati da una folla ormai fuori controllo». La conclusione dei
volontari del Baobab è che «a via del Frantoio non c’è scappato il morto
perché il caso ha voluto così. Ma questo è un fuoco su cui stanno
soffiando in troppi e troppo forte. Chi ha un ruolo politico o
istituzionale, è bene che inizi davvero a fare i conti con le proprie
responsabilità».