Il Fatto 9.9.17
Chi caccia Milena Gabanelli fa danno alla Rai e all’Italia
di Giovanni Valentini
“Ai
partiti non verrà mai in mente di ritirarsi di propria iniziativa,
praticando un disarmo unilaterale, da quella Rai che si contendono palmo
a palmo come un campo di battaglia”
(da La tv che non c’è di Gilberto Squizzato, Edizioni minimum fax, 2010 – pag. 39)
Non
è un ultimatum, ma piuttosto un coraggioso j’accuse, la richiesta di
Milena Gabanelli al dg della Rai di concederle una “aspettativa non
retribuita”, fino a quando l’azienda avrà varato il nuovo piano per
l’informazione e le affiderà eventualmente la direzione di una nuova
testata. Un atto d’accusa contro lo stesso dg, Mario Orfeo; contro il
Cda e la sua presidente, Monica Maggioni; e soprattutto contro una
“riformicchia” del servizio pubblico – come l’abbiamo definita fin
dall’inizio – che il governo Renzi e la sua fotocopia Gentiloni si sono
palleggiati come una patata bollente, sottraendo di fatto la Rai al
controllo del Parlamento per sottoporla a quello di Palazzo Chigi e
violando così le prescrizioni della Corte costituzionale. È naturale,
perciò, che il Cda la definisca “una scelta sorprendente e non
comprensibile”. Sorprendente per chi vive nel palazzone a vetri di viale
Mazzini come in una torre d’avorio. Non comprensibile per chi, dentro e
fuori quel falansterio inquinato dalla politica e dall’amianto, non
s’accorge che ormai il servizio pubblico va alla deriva.
Né
tantomeno può meravigliare il fatto che questa crisi scoppi proprio
sull’informazione, il nervo scoperto di una Rai lottizzata dai partiti,
vittima di una spartizione più o meno occulta. È proprio questo
l’“oggetto oscuro del desiderio” su cui si scatenano, come nel film di
Luis Buñuel, gli appetiti dei contendenti. Ma si dà anche il caso che
questa sia la “ragione sociale” della radiotelevisione pubblica, il
motivo per cui lo Stato sottoscrive un “Contratto di servizio” e i
cittadini pagano il canone. Appena la settimana scorsa il dg rivendicava
il titolo professionale di giornalista, per sé e per la presidente
Maggioni, come garanzia di rinnovamento per il futuro dell’azienda. Ed
ecco che una delle figure più autonome e indipendenti dell’informazione
targata Rai, come l’ex conduttrice di Report, rifiuta una
“sistemazione”, un accomodamento, un compromesso, per lanciare una
requisitoria contro la normalizzazione televisiva della gestione
“parte-nopea” di Orfeo. E tutto ciò mentre ancora si aspetta il mitico
“piano per l’informazione”, su cui avevano già fallito l’ex direttore
generale Antonio Campo Dall’Orto e il suo “direttore editoriale” Carlo
Verdelli. Aggiungiamo poi che il “caso Gabanelli”, nell’era della
comunicazione online, interattiva e multimediale, mette a nudo i ritardi
culturali e le lentezze burocratiche per cui la Rai non è riuscita
ancora a dotarsi di un sito web efficiente e funzionale. Un progetto per
il quale in passato s’era già battuta inutilmente una professionista
esperta e affidabile come Carmen Lasorella, prima nominata presidente di
RaiNet, poi “demansionata”, quindi reintegrata dal magistrato e ancora
in attesa di una collocazione adeguata. Qui si tratta davvero di un
“danno emergente” e di un “lucro cessante”, come dicono i civilisti, dal
momento che l’azienda possiede un patrimonio radiotelevisivo unico in
Italia e produce ogni giorno video e servizi che nessun altro sito
potrebbe permettersi. Ripetiamolo ancora: senza informazione, la Rai non
ha ragione di esistere. E senza un’informazione effettivamente
pluralista, magari una contro-informazione intesa come controllo del
potere, il servizio pubblico perde la sua stessa legittimazione
istituzionale.