Il Fatto 26.9.17
Marx, Goethe e pure Sgarbi: tutti i fantasmi di Tremonti
In
cerca di “Rinascimento” - “Ogni fine è il principio di una nuova
storia”. Mentre riflette sulla finanza, l’ex ministro si allea al
critico
di Pietrangelo Buttafuoco
Due fantasmi –
anzi, tre – s’aggirano tra le sontuose stanze con affaccio su piazza
Navona, a Roma, dove il professore Giulio Tremonti, già ministro
plenipotenziario dei governi Berlusconi, dà appuntamento al Fatto
Quotidiano.
Uomo di studi, sapiente di saperi, Tremonti annuisce
quando gli spettri, a beneficio degli ospiti, ripetono le profezie
pronunciate a suo tempo, quando erano ancora tra i vivi.
Uno
squaderna il proprio libro, Il Manifesto del Partito Comunista, e così
legge: “All’antica indipendenza nazionale si sovrapporrà una
interdipendenza globale.” È Karl Marx.
L’altro, con nientemeno che
Mefistofele al guinzaglio, ne sveglia l’allucinazione diventata oggi
realtà: “I Biglietti alati – le banconote – voleranno tanto in alto che
la fantasia umana, per quanto si sforzi, non potrà raggiungerli”. È
Wolfgang Goethe. Legge il suo Faust.
Il terzo, infine, con tutta
la biblioteca del conte Monaldo – il temuto padre – sulla gobba,
consegna all’ospite una fotocopia dallo Zibaldone: “Quando Roma fu lo
stesso che il mondo, non fu patria di nessuno, e i cittadini Romani,
avendo per patria il mondo, non ebbero nessuna patria, e lo mostrarono
col fatto”.
Tremonti congeda quest’ultima ombra non senza una gag –
“Ecco un populista, è Giacomo Leopardi” – e taglia corto per spiegare
meglio il perché di questi fantasmi: “Avevano visto il futuro, ci
aiutano a capire la dematerializzazione del denaro e con la
delocalizzazione della ricchezza, la globalizzazione in atto”.
Tremonti,
va da sé, la butta in necessarissima politica “contro la ragioneria
cabalistica del denaro creato dal nulla ma dominante su tutto e, di
conseguenza, contro la cupa tecnica istituzionale della polizia mentale”
e però su tutto incombe una ricostruzione. È un datario che si chiude
in un periodo di tempo brevissimo: novembre 1989, caduta del Muro di
Berlino e fine del comunismo; maggio 1994, accordo di Marrakech e
nascita del Wto, ossia Organizzazione mondiale per il commercio; gennaio
1996, Bill Clinton liberalizza la tecno-finanza e gli speculatori
operano generando rischi illimitati per tutti ma non per loro essendo
protetti dalla responsabilità limitata; novembre 2001, la Cina aderisce
al Wto; ottobre 2008, New York, esplode la crisi finanziaria.
“Ogni
fine è il principio di una nuova storia” commenta Tremonti che in
coppia con Vittorio Sgarbi, alla testa di Rinascimento, più che un libro
edito da Baldini & Castoldi, offre un programma politico fino a
oggi impolitico a meno che uno dei due – specificatamente lo storico
dell’arte – già impegnato nella campagna regionale in Sicilia non
guadagni subito il requisito fondamentale per candidarsi: la residenza
anagrafica nell’isola.
Vero è che la politica è la meta-politica. È
impegnativo ascoltarlo mentre segna grafici sul bloc-notes, rammemora
le cose fatte da ministro e ancora una volta dà di gomito a uno dei tre
fantasmi, a Goethe, per dargli ragione nell’avere visto ciò che ancora
non si poteva vedere. Cava dai calzoni di Mefistofele una cambiale e poi
ancora una banconota di Weimar, la moneta dal valore nullo che reca
scritto il motto del diavolo: “Abbi fiducia in me, credi in me”. Chissà
se i banchieri affamatori lo fecero apposta. Come nel dollaro Usa: In
God we trust. Chissà.
Tremonti è l’unico italiano ad avere tenuto
lezione nella più inaccessibile tra le aule, che non si trova nella
scuola commerciale di Pechino dove al più può andarci Romano Prodi ma in
quella del Partito comunista cinese: “Una città vera e propria dalle
strade sconfinate dove si palesano i dignitari, dove il rettore è il
vice di Xi Ping, dove la grande macchina statuale trova il motore primo
di ogni decisione”.
Una città dei saperi dove il professor
Tremonti arriva con il Viaggio in Olanda di Diderot, il libro dove è
scritto “governare un Paese piccolo è facile, uno grande è difficile”.
Ed è Xi Ping, il presidente della Repubblica, nonché segretario del
Partito, a dirgli – accettando il dono – “cerchiamo di diventare un po’
ricchi prima di diventare vecchi”. Un pronunciamento strano che Tremonti
decifra osservando, nel mentre che i fantasmi si stringono a circolo
per guardare tutti insieme, le foto notturne di Google Maps.
Ecco
la Cina: c’è un’infinità di luci lungo le coste e tutto uno sterminato
buio, poi, nell’entroterra. È l’area rurale dove vive la popolazione
contadina, sempre più vecchia, senza ricambio generazionale, costretta a
caricarsi l’aratro con le artriti.
Resta da sapere qual è il
motore anonimo, apolide, irresponsabile e iperpotente del mondo. Da
ministro del Tesoro, Tremonti – che è un tipetto particolare – si trova a
ricevere Bill Gates sempre abile a farsi dare soldi dai governi
dell’orbe terracqueo. “Io a questo lo mando a fare in culo”, borbotta
tra sé Tremonti che non concede ubris – e cioè la vertigine
dell’onnipotenza – a chicchessia. La moglie di Gates conosce la lingua
italiana e così Tremonti se la gode a faang… il FAANG. Ovvero? “È la
taglia unica, a pensiero unico, dell’uomo nuovo”. Ecco, dunque:
Facebook, Amazon, Apple, Netflix, Google. L’algoritmo in luogo della
volontà di potenza. L’utopia nuova del bene benevolo universale.
Benevolo, come l’Anticristo di Vladimir Soloviev. “Giusto, ancora un
profeta”. Ancora un profeta, ancora un fantasma a casa Tremonti. E sono
in quattro.