Il Fatto 19.9.17
Caso Orlandi: eppure esiste un dossier
di Roberto Faenza
Il
caso Orlandi non avrà mai pace, finché chi sa non si deciderà a
parlare. Non solo il Vaticano, ma anche la Procura della Repubblica di
Roma ha le sue colpe. Non si doveva archiviare l’inchiesta proprio nel
momento in cui la magistratura stava per ottenere il dossier custodito
al di là del Tevere. Le nuove rivelazioni del giornalista Fittipaldi
aprono interrogativi, che risultino veritiere oppure no. Fossero
costruite ad hoc, chi vorrebbero colpire? Il portavoce di papa Francesco
Greg Burke ha definito la documentazione “falsa e ridicola”. Mi sento
di affermare che sussistono elementi ancora più gravi delle nuove
presunte rivelazioni. Esempio: non appaiono false né ridicole le
confidenze fatte a Pietro Orlandi da Paolo Gabriele, l’ex maggiordomo di
Ratzinger, che avrebbe visto il dossier di Emanuela sulla scrivania di
padre Georg. Ancora più sconcertante apparirebbe quanto confidato al
fratello di Emanuela dal Segretario di Stato Parolin, quando poco tempo
fa gli ha sussurrato che lo stesso Papa ritiene il caso “troppo grave”
per renderlo pubblico. Pietro è uscito dall’incontro sgomento. Quelle
parole confermano che di sua sorella si sa, ma non se ne può parlare.
Ecco
perché la famiglia ha presentato un’istanza al Vaticano per
un’audizione proprio con Parolin. Si renderà disponibile a testimoniare?
Secondo me, per essere sincero, il cardinale ha peccato di ingenuità.
Una cosa è certa: il dossier esiste. Infatti nel film da me diretto La
verità sta in cielo riproduco per intero l’intercettazione del 12
ottobre 1983, in cui il vicecapo della vigilanza vaticana, Raoul
Bonarelli, riceve l’ordine di non riferire ai magistrati italiani il
possesso della documentazione su Emanuela “andata alla Segreteria di
Stato”. Se il Vaticano dunque sa, il comportamento della Procura romana
non è da meno.
Nella sequenza finale del film descrivo un fatto
inedito: l’incontro tra il magistrato incaricato dell’inchiesta e un
alto prelato, finalizzato alla consegna del dossier Orlandi in cambio
della rimozione della salma del boss Enrico De Pedis dalla basilica di
S. Apollinare, la cui sepoltura stava creando imbarazzo al Vaticano.
Abbiamo ragione di credere che il magistrato in questione fosse
Giancarlo Capaldo, il quale si è rifiutato di firmare la richiesta di
archiviazione da parte del suo capo Giuseppe Pignatone. Non sappiamo chi
fosse il prelato, anche se c’è ragione di credere che fosse proprio
padre Georg. Nessuno, né alla Procura né in Vaticano, ha smentito tale
sequenza, anche perchè abbiamo prove inoppugnabili.
Perché allora
archiviare? Non voglio credere che siano fondate le parole della moglie
Di Pedis confidate al telefono a don Piero Vergari, il prete che ne ha
proposto la sepoltura in chiesa. Le riproduco come da intercettazione:
“Il procuratore nostro sta archiviando tutto, è roba di pochi giorni, eh
don Pie’, resista!”. In una successiva intercettazione, la donna
sottolinea che il procuratore aggiunto Capaldo “è stato cacciato via…
Pignatone sta facendo una strage ed era ora!”. E aggiunge che è stato
fatto fuori anche il responsabile della Squadra mobile Vittorio Rizzi,
anche lui a capo dell’inchiesta. Sorprende che, in un periodo in cui le
indagini erano ancora in corso (siamo nel 2012), la moglie di De Pedis
conoscesse l’esito finale dell’archiviazione con un anticipo di tre
anni. In mezzo a tanta melma, la realtà traspare: lo stesso Francesco,
pur così coraggioso, è costretto al silenzio. La scomparsa di Emanuela è
chiaro che concerne alcuni collaboratori di Wojtyla. Non si possono
rendere pubblici gli intrighi dell’entourage di un pontefice che è stato
appena fatto santo (pare, senza grande convinzione dello stesso
Bergoglio)?
Se potessi dare un consiglio, rivolgerei un appello:
il caso Orlandi continuerà a perseguitarvi. Per il buon nome della
Chiesa e della nostra magistratura, abbiate il coraggio della verità.
Vedrete che alla fine ne sarete ripagati più che dalla menzogna e dal
silenzio.