Il Fatto 18.9.17
In cammino con il ‘Cortile di Francesco’ per riscoprire le tappe del linguaggio
Si è conclusa la terza edizione della manifestazione organizzata ad Assisi e occasione di dialogo tra credenti e non
di Pietrangelo Buttafuoco
La
preghiera non è geografia ma ha una direzione. Il Cortile di Francesco
ha chiuso, ieri, ad Assisi, le sue quattro giornate d’incontri.
Un’edizione – quella di quest’anno, la terza – dedicata al cammino. Un
tema che procede dall’indicazione data ai frati del Sacro Convento dal
papa regnante di tre specifici luoghi: testa, cuore e mani. Sono le tre
tappe del linguaggio in cammino, forse una variante rispetto ai tre
stadi di conoscenza spirituale, e cioè cuore, spirito e anima ma
l’incamminarsi nella vita fatta di carne e sangue approda all’essenza di
tutte le cose nell’abbandono: “Non fu che il tocco di un attimo,” –
insegna la dottrina mistica – “eppure per l’eternità.”
Non c’è
fatica più dolce del liberare la preghiera dalle sue scorie e riportarla
alla sua essenza. Questo è il senso della povertà professata da
Francesco, il testimone del Jihad – il combattimento contro il sé infero
– nel segno di Cristo. È il linguaggio che muove il passo. Il
linguaggio oltrepassa. E quando ognuno al termine di un cammino non
cessa il desiderio della meta – quando si giunge all’adorazione, quanto
più ci si smarrisce nell’intima prossimità spirituale – il guadagno in
commozione è tutto nel rinnovare, con la preghiera, il cammino fatto di
scarpe, calze o perfino piedi nudi.
Tutto un muoversi in cerca di
una direzione per come si vede ancora nei luoghi del Sud del Sud dei
Santi dove i popoli, non ancora piegati al dettato dello spirito del
tempo, si muovono all’alba per arrivare ai tabernacoli, alle chiesette,
recidendo cespi di alloro per San Vito a Regalbuto, ceri per la Madonna
della Catena a Leonforte promesse nei santuari, come a Pompei o a
Tindari, affinché ogni muro di profonda oscurità si sbricioli nella
visione: “Ei viene,” insegna ancora la dottrina mistica, “luna quale il
cielo non vide mai, nella veglia e nel sonno.”
Il concetto che in
lingua tedesca recita l’ur-Sprache, ovvero la lingua originaria, nel
sentimento corrente è lingua madre. È l’idea stessa di una voce che
preesiste in ognuno in virtù del sangue, della memoria e dell’impronta
remota perfino al ventre materno se per esempio, già nella prima
invocazione di Dio, secondo la formulazione coranica, le parole
Bismillah al-Rahman al-Rahim svegliano inconsciamente il ricordo della
venuta al mondo. Corrispondono, in assonanza ritmica e fonetica, il
subbuglio carnale del ventre quando si fa l’amore.
Ed è cammino,
ed è linguaggio. “Muoviti!”, per esempio, nella lingua di Luigi
Pirandello significa “stai fermo!”. Ancora più preciso è “Muoviti là”.
Passo dopo passo nella direzione. Per arrivare alla meta e desiderare
ancora la meta. “Il suo amore”, recita Bayazid, “entrò e allontanò tutto
all’infuori di sé e non lasciò traccia di null’altro, così che rimase
solo così come Egli è solo”. Come una goccia d’acqua gettata
nell’Oceano. Il tocco di un attimo, eppure per l’eternità.