Corriere 18.7.17
Orlandi, il giallo del dossier
Un
dossier che circola negli uffici della Santa Sede. Un giallo che
avvalora l’ipotesi che i «corvi» siano tornati in Vaticano e che chiama
in causa le gerarchie ecclesiastiche sulla scomparsa di Emanuela Orlandi
nel 1983. E sembra voler accreditare la pista che sia morta nel 1997
di Fiorenza Sarzanini
ROMA
Un nuovo, inquietante mistero segna la ricerca della verità sulla
scomparsa di Emanuela Orlandi, avvenuta il 22 giugno 1983. E avvalora
l’ipotesi che i «corvi» siano tornati in Vaticano. Perché un dossier che
circola negli uffici della Santa Sede chiama in causa le gerarchie
ecclesiastiche sulla fine della giovane sparita a 15 anni nel 1983 e
sembra voler accreditare la possibilità che sia morta nel 1997. Elenca
le spese che sarebbero state sostenute Oltretevere proprio per gestire
la vicenda. L’esame del carteggio non fornisce alcun riscontro che si
tratti di un documento originale perché non contiene timbri ufficiali,
ma appare verosimile che venga utilizzato nell’ambito dei ricatti
incrociati che hanno segnato la vicenda Vatileaks ed evidentemente non
sono ancora terminati. Per questo la famiglia Orlandi torna a chiedere
alla Segreteria di Stato di «sgomberare il campo da ogni dubbio» e
attraverso le avvocatesse Annamaria Bernardini De Pace e Laura Sgrò
insiste «per avere accesso a tutti i documenti e comunque poter
incontrare il segretario di Stato Pietro Parolin: il caso non è e non
può essere chiuso».
Il furto nella cassaforte
Si torna alla
notte tra il 29 e il 30 marzo 2014 quando viene scassinata la cassaforte
che si trova nella Prefettura vaticana e contiene l’archivio della
commissione Cosea, della quale facevano parte monsignor Balda e
Francesca Chaouqui, entrambi finiti sotto processo con l’accusa di aver
divulgato documenti segreti relativi alle finanze vaticane. Nel libro
Via Crucis di Gianluigi Nuzzi, che svela una parte di quelle carte
segrete, vengono pubblicate le fotografie della misteriosa irruzione.
Durante
le indagini su Vatileaks il promotore di giustizia della Santa Sede
interroga il capo ufficio monsignor Alfredo Abondi che a verbale
dichiara: «Nella sezione riservata della Prefettura venivano conservati i
documenti sulla sicurezza e sulle situazioni rilevanti relative
all’Amministrazione. Nei giorni successivi al furto nel dicastero ci fu
recapitato un plico con i documenti sottratti». Non entra nel dettaglio
ma specifica che «si tratta di materiale che riguarda pratiche risalenti
a 10 o anche 20 anni fa». Poco dopo comincia a circolare
l’indiscrezione che tra quei dossier ce ne sia anche uno sulla scomparsa
della ragazza.
I milioni di Apsa
Sei mesi fa Pietro
Orlandi, il fratello di Emanuela, rilancia questa possibilità, entra nel
dettaglio parlando di «cinque fogli, mostrati anche a papa Francesco
che proverebbero che non sarebbe morta subito, perché datati fino al
1997». È il plico che viene adesso fatto circolare. Si intitola
«Resoconto sommario delle spese sostenute dallo Stato città del Vaticano
per le attività relative alla cittadina Emanuela Orlandi».
È
datato 28 marzo 1998, firmato dal cardinale Lorenzo Antonetti, all’epoca
presidente dell’Apsa, l’amministrazione del Patrimonio della sede
Apostolica, e indirizzato al sostituto per gli Affari generali della
segreteria di Stato il cardinale Giovanni Battista Re e al
sottosegretario Jean Louis Tauran. Elenca spese per circa 500 milioni di
lire sostenute tra gennaio 1983 e luglio 1997. Si chiude con il
pagamento di 21 milioni di lire per «attività generale e trasferimento
presso città del Vaticano con relativo disbrigo pratiche finali».
Ricatto o depistaggio
Le
«voci» e i relativi pagamenti accreditano la possibilità che la giovane
sia stata ospitata in alcuni conventi e appartamenti in Italia e
all’estero, ricoverata in almeno due strutture sanitarie in Gran
Bretagna, trasferita più volte. Specifica che una parte dei soldi è
stata versata a «fonti investigative», e cita il pagamento per
l’attività relativa a un episodio di «depistaggio».
Il documento —
dattiloscritto con un carattere risalente a vent’anni fa — contiene
nomi e luoghi realmente esistenti, parla dell’attività investigativa
svolta anche dall’allora responsabile della gendarmeria, si riferisce ad
«allegati» su «quantità di denaro autorizzate e prelevate per spese non
fatturate». Il fatto che la prima data sia gennaio 1983, cioè sei mesi
prima della sparizione, sembra voler avvalorare la possibilità che
Emanuela fosse sotto il controllo di autorità vaticane già da quel
periodo. Potrebbe trattarsi di un documento che contiene circostanze
vere, fatto circolare proprio da chi continua ad esercitare il proprio
potere di ricatto contro le gerarchie ecclesiastiche, visto che mai è
stato fugato il sospetto sul loro ruolo in questa vicenda. Oppure un
depistaggio. «In ogni caso — chiariscono le due avvocatesse — la
famiglia ha diritto a ottenere chiarimenti e per questo torniamo ad
appellarci direttamente a papa Francesco affinché voglia ascoltare la
loro supplica. Lui stesso ha detto che “la verità non si negozia”».