venerdì 15 settembre 2017

Il Fatto 15.9.17
La Commissione Banche è in mano al Giglio Magico
Renzi mette i suoi fedelissimi a gestire l’inchiesta parlamentare. Si tratta sul presidente: difficile Casini, forse sarà il ‘verdiniano’ Zanetti
La Commissione Banche è in mano al Giglio Magico
di Marco Palombi

Ci siamo quasi. Dopo quattro anni e mezzo dalla proposta di istituzione e a tre mesi dal varo definitivo, la prossima settimana la commissione d’inchiesta parlamentare sul sistema bancario potrà iniziare a lavorare. Peccato che, anche a leggere i 40 nomi che la comporranno, ci sia da aspettarsi poco e niente: al massimo qualche operazione in chiave elettorale contro questo o quel partito, questa o quella fazione del Pd o che fu del Pd.
Ieri, dopo le ultime 24 ore di passione, i capigruppo hanno finalmente comunicato i nomi dei commissari democratici: Renzi ha piazzato parecchi suoi fedelissimi tipo Francesco Bonifazi, Matteo Orfini, Susanna Cenni, Franco Vazio, Mauro Del Barba, Gianni Dal Moro, Andrea Marcucci, eccetera. Quest’ultimo nome, peraltro, ha sollevato più di un’obiezione tra i dem: nomi di peso, ed esperti di settore bancario, come i membri della minoranza dem Massimo Mucchetti e Francesco Boccia sono stati esclusi dalla commissione con la scusa che avevano già importanti incarichi parlamentari da assolvere; Marcucci, però, è presidente di commissione (la Cultura al Senato) esattamente come i due esclusi.
Resta aperta la questione che ha preoccupato Renzi in questi ultimi giorni: chi farà il presidente? La scelta caldeggiata da Maria Elena Boschi – che dall’inchiesta ha parecchio da temere per via dei tentativi, esercitati quand’era ministra, di salvare la Popolare Etruria cara a suo padre Pier Luigi – era proprio di mettere a capo della commissione Marcucci: per gli altri partiti, però, sarebbe stata una dichiarazione di guerra, il segnale che i renziani non solo invadono l’organo parlamentare, ma si preparavano a usarlo ai loro fini.
Abbandonato, pare, Marcucci, l’ideona dei democratici è stata quella di rivolgersi all’usato sicuro: un presidente “istituzionale”, così si diceva, rispondente al nome di Pier Ferdinando Casini, accettabile anche da Forza Italia. Ipotesi tramontata anche questa, si dice nel palazzo: l’interessato non è molto convinto di lasciare la presidenza della commissione Esteri del Senato, Forza Italia non è poi così convinta di votarlo e, soprattutto, il nostro ha messo a verbale in passato parole sulla commissione banche non proprio compatibili con l’alto ufficio di presidente (“ho un’idiosincrasia per le inchieste parlamentari e questa rischia di avere effetti nefasti”), tanto che uscì dall’aula piuttosto che votare la legge che la istituiva.
La trattativa con Casini, ieri, pareva arenata al punto che gli alfaniani di Ap non hanno neanche comunicato il nome del loro senatore in commissione d’inchiesta (manca pure Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni). Di questa incertezza potrebbe beneficiare l’uomo che non ti aspetti: Enrico Zanetti, una vita all’ufficio studi dei commercialisti, arrivato in Parlamento con Mario Monti e da lì al governo, viceministro dell’Economia fino al tracollo renziano del 4 dicembre. Il nostro, che da qualche tempo ha fatto casa comune con Denis Verdini, da allora non ha un posto al sole e pure le sue memorabili apparizioni tv si sono diradate assai: la presidenza dell’inchiesta sul sistema del credito gli ridarebbe visibilità e quel po’ di fiducia nell’equità del destino che gli era venuta a mancare dopo essere divenuto l’unico uomo di governo di Renzi non confermato da Gentiloni.
Un “verdiniano” a capo di una commissione piena di renziani non è proprio il miglior viatico per un’inchiesta parlamentare sulle banche, ma per Zanetti non è ancora il momento di festeggiare: la maggioranza è risicatissima e per di più in questo genere di commissioni contano assai i rapporti personali tra i membri. Il nostro ha ancora qualche giorno, forse persino una settimana, prima della convocazione e dell’elezione del presidente: sarà campagna elettorale matta e disperatissima.