Repubblica 15.9.17
La commissione di inchiesta sulle bancheUna via istituzionale
di Stefano Folli
LA
COMMISSIONE bicamerale d’inchiesta sulle banche arriva in ritardo a
causa dei timori e dell’eccesso di prudenza del partito di maggioranza
relativa. Il dente che doleva e che duole ancora è sempre lo stesso: la
banca dell’Etruria. Ma proprio per questo occorreva avere più coraggio,
anche perché le iniziative del governo Gentiloni nel corso dell’anno
hanno avuto il merito di disinnescare la crisi.
RIMANE — e certo
non è poco — la frustrazione di un notevole numero di risparmiatori,
come pure una tensione politica cresciuta nel tempo. Oggi la questione
delle banche si prospetta come uno dei principali temi dell’imminente
campagna elettorale dei Cinque Stelle e della Lega (quest’ultima non
priva, come è noto, di qualche scheletro nel suo armadio).
Tuttavia
istituire una commissione parlamentare non significa aggiungere altra
legna al fuoco acceso dai partiti cosiddetti anti-sistema. Al contrario,
dovrebbe servire a riportare una confusa vicenda nell’alveo
istituzionale, rispondendo con chiarezza alle domande di un’opinione
pubblica perplessa. Il Parlamento aveva da tempo il dovere di avviarsi
lungo questa strada, fronteggiando le proprie responsabilità. Lo fa solo
adesso che mancano quattro o cinque mesi alla fine della legislatura e
naturalmente il rischio è che la commissione riesca a fare poco. C’è
anche un’altra eventualità: che si trasformi in una tribuna elettorale
permanente a favore delle due forze prima citate.
Sono due
pericoli che solo la scelta di un presidente autorevole può evitare. Un
presidente “di garanzia”, come si dice in questi casi, capace di
costruire intorno all’inchiesta — per quel poco o tanto che sarà
possibile fare nei prossimi mesi — una solida cornice istituzionale. Non
certo un presidente “insabbiatore” o che dia alla pubblica opinione
l’impressione di esserlo. Ma nemmeno una figura che consenta il tripudio
della demagogia pre-elettorale. Nessuno può negare che sia questo il
passaggio più delicato, ora che si conoscono i nomi dei commissari. Non
può ovviamente essere un personaggio espresso dal Pd e deve raccogliere
il consenso di una maggioranza il più possibile ampia all’interno
dell’organismo.
Il nome su cui ci si sta orientando sembra essere
quello dell’ex presidente della Camera, Casini. Non piacerà ai Cinque
Stelle, naturalmente, che vedranno in lui una sorta di anticipatore
delle “larghe intese”. Eppure non sono molte le figure che possono
vantare un’analoga esperienza e conoscenza della macchina parlamentare,
unita all’indispensabile sensibilità politica. Del resto, la commissione
non può essere il palcoscenico dove va in scena il regolamento di conti
fra i partiti. Magari all’interno dello stesso partito, nel segno di
vecchi e nuovi rancori. Nè può essere il luogo dove di celebrano
processi sommari e si consumano vendette. Al tempo stesso, come si è
detto, ci si attende che la commissione dia risposte il più possibile
complete alle domande che i cittadini si pongono. E indichi gli
strumenti da adottare affinché in futuro non si ripeta il tradimento dei
risparmiatori. È singolare, ad esempio, che non esista a tutt’oggi un
settore della magistratura dedicato ai reati finanziari, cosicché la
procedura a seguito di una denuncia sia rigorosa e rapida come la
gravità della vicenda imporrebbe.
C’è un altro rischio che un
presidente “di garanzia” dovrà contribuire a spazzar via dal tavolo. Fra
un paio di mesi viene a scadenza il mandato del governatore della Banca
d’Italia, Visco. Rendere un servizio alle istituzioni oggi significa
anche questo: impedire che due vicende nettamente separate si mescolino
per ragioni di bottega politica. Sarebbe un elemento di grave
destabilizzazione alla vigilia delle elezioni. Senza dubbio l’attenzione
del capo dello Stato sarà massima, come sempre quando le tensioni
sfiorano la Banca d’Italia. Ma anche il Parlamento e le forze politiche
che governano il paese, o che aspirano a governarlo nella prossima
legislatura, dovranno fare la loro parte. La logica suggerirebbe la
conferma di Visco per evitare qualsiasi strumentalizzazione e per
consolidare quella stabilità istituzionale che il presidente Mattarella
indica spesso come un valore prioritario.