Il Fatto 14.9.17
I giudici e la strage di Brescia: “Ecco le prove sui neofascisti”
Piazza
della Loggia - Per la Cassazione Carlo Maria Maggi fu il mandante oltre
ogni ragionevole dubbio. Esecutore materiale l’ex spione Maurizio
Tramonte
di Andrea Tornago
Il capo di Ordine
Nuovo nel Veneto, Carlo Maria Maggi, l’informatore dei Servizi segreti
Maurizio Tramonte. Per la Cassazione, che nel giugno scorso ha reso
definitiva la sentenza emessa dalla Corte d’appello di Milano, non c’è
alcun dubbio sulla loro responsabilità nella strage di Piazza della
Loggia a Brescia: otto morti e più di cento feriti, il 28 maggio 1974,
per l’esplosione di un ordigno collocato in un cestino durante una
manifestazione antifascista. Morirono insegnanti, operai, pensionati.
Una ferita al cuore per la città di Brescia, che vantava allora il
movimento operaio e sindacale più forte d’Italia e per più di una
generazione. E una vicenda giudiziaria durata 43 anni, con il rischio
fino all’ultimo che anche quella di Piazza Loggia restasse un’altra
strage italiana in cerca d’autore. Ma ora, per la giustizia italiana, ci
sono delle certezze: il medico veneziano Maggi, capo della formazione
estremista veneta Ordine Nuovo, fu l’organizzatore della strage di
Brescia, mentre Tramonte, collaboratore del Sid – il Servizio
informazioni difesa, così era chiamato allora il servizio segreto
militare – non fece nulla per impedirla. “Il compendio probatorio
acquisito nei confronti di Maggi – si legge nelle motivazioni della
sentenza depositate ieri – non lascia alcuno spazio per dubitare del suo
ruolo organizzativo nella strage di Piazza della Loggia”, un ruolo
“incontroverso e corroborato dal compendio probatorio acquisito nei
giudizi di merito”.
Anche Tramonte, la “fonte Tritone” (con questo
nome in codice erano firmate le sue veline) al soldo del
controspionaggio militare guidato dal generale piduista Gianadelio
Maletti, “aveva conoscenza piena e diretta della fervente attività di
riorganizzazione degli ex ordinovisti – scrivono gli ermellini
confermando in pieno la sentenza d’appello – della creazione di una
struttura clandestina in grado di attuare il piano eversivo elaborato,
dell’operatività della stessa in varie città del Nord prima della
strage”. Tramonte prese anche parte alle riunioni in cui si parlò dei
dettagli operativi della strategia stragista, in particolare “quella del
25 maggio (tre giorni prima della bomba, ndr) nella quale si erano
messi a punto i particolari esecutivi della strage ed egli era stato
individuato come uno dei possibili esecutori del collocamento
dell’ordigno esplosivo nel cestino dei rifiuti”. Nelle informazioni
fornite in quei giorni da Tramonte, e condensate nelle informative del
maresciallo Luca Felli del Centro di controspionaggio di Padova, non ci
sono riferimenti alla strage pianificata per il 28 maggio.
La nota
con cui i Servizi militari riportano i dettagli dei preparativi
dell’attentato porta la data del 6 luglio 1974, a strage ormai avvenuta.
In compenso Tramonte, per i supremi giudici, “era presente in Piazza
della Loggia il 28 maggio (riconosciuto in una fotografia sulla base di
una perizia della Procura) e ha fornito un alibi falso” per quel giorno.
Tutte circostanze che in primo grado nel 2010 e in appello nel 2012 a
Brescia erano state valutate diversamente, tanto da indurre la
Cassazione ad annullare e rinviare per un nuovo giudizio alla Corte
d’appello di Milano a causa di un “ipergarantismo distorsivo della
logica e del senso comune” operato, secondo gli ermellini, dai giudici
bresciani. Nel 2012 le parti civili, tra cui i famigliari delle vittime,
erano stati anche condannati a pagare le spese processuali (anche se in
seguito il Consiglio dei ministri aveva deliberato di assumere le spese
a carico del governo).
La revisione del processo a Milano, nel
2015, aveva ribaltato quella decisione. Usciti di scena gli altri
imputati, mandati assolti (gli ordinovisti Delfo Zorzi e Pino Rauti e il
generale dei carabinieri Francesco Delfino) erano rimaste da
riesaminare le posizioni di Maggi e Tramonte, condannati all’ergastolo
con tre anni di isolamento diurno. Una decisione confermata in pieno
dalla Cassazione, che ha rigettato tutti i ricorsi degli imputati
pronunciando la parola finale sulla lunga e articolata storia
processuale di Piazza Loggia. Quarantatré anni dopo, è un verdetto reso
amaro anche dal tempo: Maggi, ormai ottantenne, è agli arresti
domiciliari nella sua casa di Venezia e per lui difficilmente si
apriranno le porte del carcere.
Il 65enne Tramonte, scomparso
pochi giorni prima della sentenza definitiva, è ora detenuto in
Portogallo, dov’è stato arrestato dai carabinieri del Ros al termine di
una breve fuga. La Corte d’Appello di Lisbona a fine luglio ha dato
parere favorevole all’estradizione, ma sul rientro in Italia di Tramonte
deve ancora esprimersi definitivamente la Corte Suprema portoghese.