Il Fatto 11.9.17
Ci rendiamo conto che non c’è ancora una legge elettorale?
di Gian Giacomo Migone
Il
dibattito politico in corso, per una tacita intesa trasversale, finge
d’ignorare che fra pochi mesi ci saranno le elezioni, e non si sa ancora
con quale legge elettorale. Persino i protagonisti della vittoria del
No al referendum non sembrano avvertirsi che la continuità di
quell’impegno si gioca su questo terreno. Dove sono i miei amici
Zagrebelsky (che pure ha segnalato da queste colonne il rischio di un
rinvio sine die), Pace, Grandi, Smuraglia, Montanari, Falcone, La Valle,
Calvi, Schwarz, Marzo e quant’altri?
A loro, in particolare,
chiedo se, in un momento in cui bisogna selezionare gli obiettivi, una
sacrosanta lotta contro i parlamentari nominati non sia l’argomento più
coerente con il principio di rappresentanza per il quale ci siamo
battuti, forse il solo capace di ristabilire il rapporto con una
maggioranza di cittadini italiani.
Il dibattito, ospitato dal
Corriere della Sera ad agosto tra Valerio Onida ed Ernesto Galli della
Loggia, è un buon esempio di questa rimozione. Oggi la partita in gioco
non è la riforma della Costituzione, con buona pace di tutti coloro che
ne vorrebbero gettare alle ortiche sia la prima che la seconda parte,
Panebianco, Jp Morgan, lo stesso Galli della Loggia. Patetico e perverso
il successivo tentativo di Galli della Loggia (2 settembre) di spiegare
a lettori ed elettori che non hanno ricevuto il bene di un capo del
governo con parlamento al seguito perché Craxi, Berlusconi e Renzi (a
suo tempo sostenuti da GdL) non li hanno convinti. Si rassegnino, lor
signori e i loro sponsor, l’esito, del referendum del 4 dicembre ha
chiarito che la maggioranza del popolo italiano non condivide il loro
sogno e preferisce, nelle linee essenziali, la Costituzione vigente.
La
partita è un’altra. A pochi mesi dalla scadenza elettorale siamo privi
di una legge che non sia quella residuale, il Consultellum, regalo
improvvido di due sentenze della Corte Costituzionale, che lascia
intatti i meccanismi che perpetuano l’aspetto peggiore sia del Porcellum
che dell’Italicum: premi di maggioranza, liste bloccate e capilista che
moltiplicano i parlamentari per nomina. Il risultato è un parlamento
delegittimato, screditato, debole, subalterno in cui buona parte dei
suoi membri sono in perpetua transizione da un gruppo all’altro, alla
ricerca della pantofola giusta da baciare, avendo pochi altri titoli per
farsi confermare in carica.
Se fermassimo dieci italiani per la
strada e chiedessimo loro se preferiscono un sistema proporzionale al
maggioritario, tedesco o britannico, tutti o quasi esprimerebbero
indifferenza. Se, invece la domanda fosse: “Preferite un sistema in cui
siete voi a scegliere non solo il partito, ma la persona che vi
rappresenta?”, la risposta prevalente sarebbe inequivocabile. Va da sè
che le burocrazie di partito, con qualche nobile eccezione (se non
sbaglio, Bersani), eludono questa domanda perché, come dimostrò a suo
tempo l’opposizione presso che simbolica del centrosinistra al
Porcellum, quel potere indiscriminato di nomina fa proprio gola a tutti
loro, o quasi.
Cosa hanno da dire in merito i due contendenti del
Corriere? Galli della Loggia si dichiara favorevole a un premierato
forte, con una maggioranza parlamentare subordinata che ne garantisce
stabilità ed efficienza. Cita la Camera dei Comuni britannica come
esempio ideale. Gli sfugge che, non di rado quel parlamento è stato
tripolare, con candidature scelte da assemblee di collegio, spesso tale
da dare vita a coalizioni più o meno claudicanti, proprio come quella di
oggi. Forse il modello che ha in mente è quello di alcuni paesi
semiautoritari in cui il capo dell’esecutivo non è più un dittatore, ma
viene eletto, con un parlamento che ne riflette il potere. Più
persuasivo a me pare Onida, che invoca i checks and balances Usa, in cui
a esecutivo forte corrisponde un parlamento altrettanto forte, con una
netta separazione di poteri. Sfugge, invece, a entrambi che è in corso
un processo di indebolimento non solo dei politici, ma delle istituzioni
democratiche in tutto l’Occidente, a vantaggio di poteri chiamiamoli
extraistituzionali e globalizzanti che, per quanto numericamente, ma non
economicamente minoritari, menano la danza a dispetto dei più. In tal
modo il premierato forte di Galli della Loggia in realtà assomiglia di
più a una sorta di ceo. In questo contesto, cerchiamo di salvare il
salvabile: la libera scelta dei cittadini dei propri rappresentanti che
dovranno dare loro conto, in collegi elettorali piccoli.