giovedì 14 settembre 2017

Corriere14.9.17
Quelle riforme che complicano i rapporti tra governo e pd
di Massimo Franco

È singolare vedere quante leggi-bandiera il Pd sta consumando in queste settimane; come ha costretto il governo di Paolo Gentiloni a fare zigzag tra ius soli, reato di propaganda fascista e vitalizi dei parlamentari, per evitare di essere intrappolato in questioni di fiducia che farebbero traballare la maggioranza. E come invece sia stata schivata una riforma necessaria come quella del sistema elettorale, con un gioco di sponda oggettivo col Movimento 5 Stelle, Forza Italia e Lega. Il motivo è poco pubblicizzato, perché inconfessabile: nessun leader di partito vuole che dal Parlamento esca una legge tale da far saltare i capilista bloccati.
Una modifica del genere intaccherebbe in profondità il loro potere. La manciata di candidature sicure indicate dalle segreterie, rappresenta il modo più facile per fare eleggere parlamentari fedeli ai vertici; e dunque per avere una massa di voti da far pesare nelle trattative di governo dopo le Politiche del 2018. Il timore è che qualunque testo possa essere cambiato dalle Camere con modifiche impreviste e indigeste. Dunque, si preferisce parlare d’altro, presentando come prioritari provvedimenti che magari finiranno nel nulla. Dire che è necessario l’accordo tra tutte le forze che hanno tentato la trattativa prima dell’estate, significa lasciare le cose come stanno.
Il problema è che i sistemi emersi dalle sentenze della Corte costituzionale non permettono tecnicamente di andare a votare. E dunque, sarà difficile evitare che comunque qualcosa venga fatto. «La legge è necessaria», ribadisce Anna Finocchiaro, ministra per i Rapporti con il Parlamento. «Abbiamo due monconi che hanno ispirazioni diverse e sono diverse nei contenuti». Ieri si è saputo che una nuova bozza potrebbe arrivare nell’aula della Camera entro il mese di settembre.
La Lega preme perché vede nell’allungamento dei tempi anche quello della legislatura: mentre vorrebbe andare alle urne al più presto. «O si fa una legge o si certifica che non ci sono le condizioni», spiega il capogruppo Massimiliano Fedriga. «Ma non si osi utilizzare questa scusa per ritardare le elezioni». La Lega vorrebbe chiudere la partita prima del voto siciliano, nel timore che sulla scia di quel risultato ritorni l’idea delle coalizioni, cara a FI e insidiosa per le ambizioni del segretario, Matteo Salvini.
L’ipotesi è suggestiva ma improbabile. Inserire nel calendario di settembre una delle riforme più divisive significherebbe mettere a rischio la manovra di bilancio fissata a metà ottobre. Al Senato i numeri sono precari. Articolo 1-Mdp garantisce solo un appoggio condizionato. E il rinvio dello ius soli crea un solco tra il ministro Graziano Delrio, che parla di «atto di paura grave», e il Pd che risponde gelidamente. Palazzo Chigi tutto vuole, tranne che aggiungere problemi a quelli già esistenti. Per questo, è più verosimile che la vera partita cominci dopo il voto siciliano del 5 novembre.