venerdì 8 settembre 2017

Corriere 8.9.17
La diplomazia del denaro cinese
di Ian Bremmer

Ci sono molti modi in cui un governo può far valere i propri interessi sullo scenario internazionale. Alcuni mostrano i muscoli, altri scelgono di sovvertire e intimidire. In Asia, Africa, America Latina e persino in Europa, la Cina sta sfruttando i propri investimenti per ottenere ciò che vuole da Paesi e governi in difficoltà.
Gli esempi più clamorosi sono in Asia. Le relazioni del Pakistan con gli Stati Uniti si sono raffreddate bruscamente negli ultimi anni, e per molte ragioni, mentre i rapporti più cordiali stabiliti da Donald Trump con il primo ministro indiano, Narendra Modi, hanno spinto il governo e le forze armate pachistane a intensificare i legami con la Cina. A sua volta, gli investimenti di Pechino in Pakistan hanno preso nuovo slancio. Un progetto di sviluppo di infrastrutture, il Corridoio economico Cina-Pakistan, del valore di 55 miliardi di dollari, che fa parte della più vasta iniziativa cinese di un corridoio terrestre e marittimo verso i suoi partner commerciali, la cosiddetta «Belt and Road Initiative», sta generando crescita e occupazione in Pakistan. In cambio, la Cina sta sviluppando il porto di Gwadar, che le assicurerà una forte presenza nell’Oceano Indiano.
La promessa alle Filippine
Il presidente delle Filippine Rodrigo Duterte non ama ricevere critiche dagli Stati Uniti e dall’Europa, e Pechino si è impegnata ad aiutarlo a modernizzare le infrastrutture arretrate del suo Paese. Finora la Cina non ha concretizzato molto, ma è bastata la semplice promessa a convincere il presidente a non lamentarsi troppo delle crescenti ambizioni della Repubblica Popolare di Xi Jinping nel Mar Cinese Meridionale. La voce delle Filippine è andata così ad aggiungersi al coro a sostegno della Cina tra i Paesi dell’Asean, l’associazione delle nazioni del Sudest asiatico, composta da dieci membri. Najib Razak, primo ministro della Malesia, propende anche lui per la Cina e come nel caso delle Filippine ha rinunciato a ogni tentazione di rivalsa nel Mar Cinese Meridionale, proprio perché anche il suo Stato ha bisogno di investimenti per la costruzione di strade, ponti e specialmente ferrovie — e anche perché lo scandalo per appropriazione indebita nei confronti della 1Mdb, un fondo sovrano, ha lasciato Razak e il suo governo a corto di liquidità.
Il peso in Africa
Da molto tempo i cinesi acquistano influenza in Africa, dove il presidente Xi Jinping ha promesso nuovi miliardi di investimenti negli anni a venire. La Cina inoltre fa sentire la sua voce in tutto il continente africano attraverso StarTimes, un’azienda privata di media e telecomunicazioni che gode dell’appoggio del governo cinese, e trasmette contenuti — e punti di vista — della Cina tramite varie filiali in 30 Paesi, arrivando in tutte le case degli africani.
Come membro dei Brics dal 2010, il Sudafrica ha spalancato alla Cina le porte della Comunità di sviluppo dell’Africa meridionale, che dà accesso alle risorse naturali che vanno ad alimentare la crescita cinese, rafforzando l’influenza politica della Cina anche in questa regione. Pechino è diventato il maggior partner commerciale del Sudafrica e nel 2015 i due Paesi hanno siglato accordi economici per un valore di 6,5 miliardi di dollari. Il governo sudafricano ha premiato la disponibilità cinese a investire nel paese vietando l’ingresso al Dalai Lama in tre occasioni diverse dal 2009 a oggi, nonostante tutte le smentite ufficiali.
Il presidente del Kenya, Uhuru Kenyatta, è stato uno degli unici due leader africani invitati a partecipare al Forum «One Belt One Road», sul nuovo corridoio commerciale terrestre e marittimo, che si è tenuto a Pechino all’inizio del anno: il Kenya può contare su massicci investimenti cinesi nelle infrastrutture in quanto rientra nel progetto del corridoio via mare. La Cina ha già costruito una rete ferroviaria ad alta velocità tra le città kenyote di Nairobi e Mombasa, e il governo si è sdebitato appoggiando le pretese territoriali della Cina nel mar Cinese meridionale e la richiesta avanzata da Pechino nei confronti del Fondo monetario internazionale, affinché la valuta cinese venga aggiunta al paniere dei diritti speciali di prelievo.
Le esportazioni in Sudamerica
La Cina inoltre ha speso molto tempo e denaro per espandere la propria influenza in America Latina e oggi è il più grande mercato di esportazione per Brasile, Cile, Cuba, Perù e Uruguay. Ma non si tratta più della solita storia della Cina alla ricerca di materie prime. Questi stessi Paesi, con l’aggiunta della Bolivia, oggi importano di più dalla Cina che da qualsiasi altra nazione. Anche Panama è entrata a far parte di questo gruppo, in parte perché gli investimenti cinesi per l’allargamento del Canale di Panama hanno consentito ai megamercantili cinesi di raggiungere l’Atlantico e la costa orientale degli Stati Uniti. Ai primi dell’anno il governo panamense ha annunciato che non avrebbe più riconosciuto Taiwan, regalando alla Cina un’altra vittoria diplomatica.
La Grecia e oltre
Pechino è in procinto di estendere la sua strategia anche in Europa, dove i vari leader si comportano ancora come se il mondo fosse ai loro piedi. Il più recente investimento cinese è stato in Grecia, un paese a corto di liquidità e infuriato per l’austerità e i rimproveri dell’Unione Europea. Atene si è aggiudicata gli investimenti cinesi grazie al corridoio terreste e marittimo. In particolare, un’impresa cinese di Stato oggi gestisce il porto commerciale del Pireo, il più trafficato del Mediterraneo. Qualche mese prima, al Consiglio delle Nazioni Unite la Grecia aveva osteggiato una presa di posizione dell’Europa per i diritti umani che criticava la repressione di Xi Jinping sull’opposizione politica interna. Poi si è unita all’Ungheria per sostenere all’Aia le pretese territoriali della Cina nel Mar Cinese Meridionale.
«Mentre gli europei si comportano come sanguisughe nei confronti della Grecia, i cinesi portano denaro e investimenti», ha dichiarato un funzionario greco il mese scorso. È una lezione per gli Stati Uniti, per l’Unione Europea, e per tutti quegli attori internazionali che pongono condizioni agli investimenti, pretendendo riforme di politica interna. Trump esalta a parole la potenza americana, eppure ha fatto capire chiaramente di non essere disposto a staccare grossi assegni. Ma guardiamo la Cina dal punto di vista dei beneficiari: Pechino offre ottimi accordi per i governi e i paesi in difficoltà, senza chiedere in cambio né rischi né sacrifici.
L’unica incognita nel futuro di questa strategia è dove verrà messa a segno la prossima conquista .
(Traduzione di Rita Baldassarre)