giovedì 7 settembre 2017

Corriere 7.9.17
Massacri in Birmania Suu Kyi: solo falsità «Toglietele il Nobel»
Su Twitter attacchi all’ex dissidente diventata leader
L’Onu e Malala: fermate le violenze contro i Rohingya
di Alessandra Muglia

La Signora ha rotto il silenzio. Aung San Suu Kyi, Nobel per la pace e paladina dei diritti umani che ha guidato la transizione (ancora incompleta) della Birmania da dittatura militare a democrazia, ha bollato come «fake news» le notizie sulla feroce repressione della minoranza musulmana Rohingya in corso nel suo Paese a maggioranza buddhista. Un milione di persone di origine bengalese da anni senza cittadinanza, per lo più confinate in campi-ghetto, senza accesso a lavoro, scuola e sanità, nella regione più povera, il Rakhine.
«C’è un enorme iceberg di disinformazione creato per generare problemi tra le diverse comunità e promuovere gli interessi dei terroristi» ha dichiarato la leader birmana, «stanata» dal presidente turco, che l’ha contattata al telefono per sollecitare una soluzione alla crisi umanitaria da lui definita più volte «genocidio». Un’accusa respinta: «Il governo sta difendendo i diritti di tutti gli abitanti» ha reagito Aung San Suu Kyi in questo suo primo intervento dall’inizio della nuova ondata di repressione nella regione del Rakhine. Gli attacchi sferrati lo scorso 25 agosto contro caserme della polizia da parte di miliziani islamici hanno innescato la rappresaglia dei militari birmani e un fiume di rifugiati. Secondo l’Onu, che parla di «pulizia etnica», in oltre 123 mila avrebbero cercato rifugio in Bangladesh soltanto nelle ultime due settimane. Il governo si ostina a ripetere che sta combattendo i terroristi nel Rakhine, una regione sigillata, off limits per giornalisti e operatori umanitari. Ma Human Rights Watch ha diffuso foto satellitari, che mostrano interi villaggi bruciati, e denunce di abusi e rastrellamenti. I generali puntano il dito sui miliziani islamici ma diversi media hanno raccolto testimonianze di civili riusciti ad attraversare il fiume Naf, al confine fra Bangladesh e Birmania, in fuga dalle pallottole e dagli abusi dell’esercito.
La Signora ha rotto il silenzio ma resta «negazionista» sull’emergenza umanitaria. Con Erdogan ha reagito alle foto false dei massacri twittate dal vice premier turco (poi cancellate) ma resta silente sulle evidenze dei massacri esibite da fonti attendibili. E non spende una parola in risposta agli appelli rivolti in questi giorni dal segretario generale dell’Onu António Guterres («Il governo cambi la sua politica e riconosca diritti alla minoranza musulmana») o dal premio Nobel per la pace Malala («basta tacere sulla pulizia etnica»).
Cresce la preoccupazione internazionale per l’escalation di violenza e il deteriorarsi della situazione, con migliaia di Rohingya intrappolati al confine, e cresce il fronte di chi chiede che Suu Kyi restituisca il Nobel. Su Twitter imperversa l’hashtag #TakeNobelBackFromSuuKyi . È indegna di questo premio, tuona sul Guardian George Monbiot. Se lei non può controllare le forze armate, c’è un potere di cui dispone in abbondanza e che non usa: la propria voce.