Corriere 5.9.17
Orlando: subito lo ius soli
di Giovanni Bianconi
Il
ministro della Giustizia Orlando: «Lo ius soli prevede anche doveri,
non solo diritti. Va approvato, farà calare i reati». Sul trattamento
dei detenuti, il Guardasigilli aggiunge: «In carcere percorsi
personalizzati, basta benefici in automatico».
ROMA I fatti di
Rimini e l’arresto di tre giovani africani accusati di stupro hanno
rianimato, soprattutto a destra, le ostilità all’introduzione dello ius
soli , ma il ministro della Giustizia Andrea Orlando dice che bisogna
procedere nella direzione opposta, accelerando la riforma: «Lo ius soli è
un percorso di doveri, non solo di diritti, e serve a evitare di
confinare le persone in un limbo, un’area grigia separata dal resto
della comunità. La marginalizzazione è un humus nel quale crescono le
devianze, l’integrazione e l’adempimento dei doveri civici servono
invece ad acquisire diritti e questo può aiutare la sicurezza
collettiva».
Vale anche dopo episodi come quelli di Rimini?
«Trarre
conclusioni generali da singoli episodi sarebbe sbagliato, ma avere dei
cittadini anziché degli apolidi senza radici nel Paese di provenienza
ed emarginati in quello in cui vivono, significa aumentare le
possibilità di controllo sociale e civile. E il perseguimento di un
obiettivo attraverso il rispetto delle regole può essere un deterrente
in più».
La pensa così pure sul trattamento dei detenuti?
«Certamente.
Entro la metà di settembre presenteremo la prima parte dei decreti
delegati sulla riforma carceraria, la cui filosofia è “basta con le
riduzioni di pene in automatico e con le preclusioni preventive”,
terrorismo e mafia a parte. La personalizzazione del carcere e delle
pene alternative aiutano ad abbassare la recidiva nella commissione dei
reati e il carcere dev’essere un percorso anziché un parcheggio, dove le
persone possono ottenere benefici se si impegnano nel reinserimento,
attraverso la scuola, il lavoro e altri processi educativi».
Ma ci sono le risorse necessarie?
«Abbiamo
già investito sull’aumento dei magistrati di sorveglianza, e
continueremo a farlo con educatori, mediatori culturali e altre figure,
ancor più necessarie con una popolazione carceraria di cui un terzo è
composto da stranieri delle etnie più diverse».
La disponibilità di risorse pesa sulle riforme in generale, dal civile al penale. A che punto siamo?
«In
campo civile possiamo essere soddisfatti dei risultati raggiunti.
Quattro anni fa il contenzioso pesava per poco meno di sei milioni di
cause, ora siamo a 3 milioni e 700.000, e la durata media di un processo
in primo grado è scesa da 512 giorni a 370: una riduzione del 27 per
cento. Si può e si deve fare di più, ma il bilancio è certamente
positivo, soprattutto per merito dell’informatizzazione, nella quale
abbiamo investito per quasi un miliardo di euro».
E sulla giustizia penale?
«Stiamo
portando l’informatizzazione anche lì, attraverso un pacchetto
straordinario di interventi sulla digitalizzazione degli atti, il
rinnovo degli strumenti informatici e la specializzazione del personale.
Nel frattempo abbiamo assunto 1.800 impiegati amministrativi nelle
cancellerie e previsto l’immissione di altre 2.500 persone che possiamo
considerare “nativi digitali”, cioè preparate alle novità del processo
telematico. E con l’ultimo concorso copriremo i vuoti nell’organico
della magistratura».
Sarà, ma basta entrare in un tribunale per
capire che ancora molte cose non funzionano. E con la riforma del
processo penale da lei fortemente voluta c’è chi lamenta meccanismi che
porteranno ulteriori problemi e lentezze.
«L’importante è che si
siano invertite le tendenze, come i procedimenti che si sono ridotti del
7 per cento. Sulla prescrizione credo che non si potrà fare più di
quello che abbiamo fatto; del resto se il 50 per cento dei processi si
prescrive in quattro distretti significa che bisogna intervenire
sull’organizzazione oltre che sulle leggi. Se alcune riforme
aumenteranno i carichi di lavoro sarà per introdurre nuove garanzie, ad
esempio aumentando i gradi di impugnazione in alcuni casi. Di contro,
abbiamo reso più stringenti le stesse impugnazioni, e introdotto
interventi deflattivi come l’eliminazione delle cause per la tenuità del
fatto, l’introduzione della giustizia riparatrice, la procedibilità a
querela e non più d’ufficio per alcuni reati».
Oltre che ministro
della Giustizia, lei è uno dei leader dell’opposizione interna al
Partito Democratico. Che cosa pensa della possibile riforma della legge
elettorale?
«Come minoranza abbiamo sempre detto che non dobbiamo
rassegnarci a votare con questa legge. Nel centrodestra si registrano
aperture per introdurre elementi di maggioritario che non dobbiamo
lasciare cadere. Non si può dire che se non ci stanno tutti non si fa
niente, perché alcuni hanno interesse alla frammentazione e
all’ingovernabilità, mentre noi dobbiamo garantire stabilità senza
ritornare alla prima Repubblica. Abbiamo fatto a meno dell’unanimità su
molte altre questioni, non ci possiamo fermare proprio stavolta se non
c’è il 100 per 100 dei consensi. E l’interesse di Salvini verso il
Mattarellum rappresenta una novità interessante».