Corriere 2.9.17
Genesi dello spirito longobardo alle radici del nostro Medioevo
di Francesca Bonazzoli
Il
documento storicamente più importante è il celebre Editto di Rotari,
redatto in latino nel 643 fra le mura del monastero di Bobbio, che
all’epoca fungeva da cancelleria della reggia di Pavia. Le pagine di
pergamena sono arrivate da San Gallo, in Svizzera, e appaiono macchiate e
bruciacchiate, ma sono la prima raccolta scritta delle leggi dei
Longobardi, popolo che prima di arrivare in Italia non conosceva la
scrittura.
Fra i reperti più lussuosi, invece, ci sono i calici in
vetro colorato a forma di corno rinvenuti nelle tombe di duchi sepolti a
Cividale del Friuli, Ascoli Piceno e Nocera Umbra. E poi monili d’oro
arricchiti di paste di vetro colorato; pedine d’avorio di un gioco della
dama; pettini, pugnali e spade, così importanti per un popolo
guerriero, la più preziosa delle quali, ritrovata a Nocera Umbra e
eletta a logo della mostra, ha l’impugnatura d’oro lavorata con le
tipiche decorazioni ad onde geometriche dei popoli barbari.
Sono
oltre 300 le opere esposte provenienti da 80 musei e 58 corredi funerari
per un totale di 32 siti longobardi rappresentati. L’umile vita
quotidiana del popolo dalle lunghe barbe si dispiega accanto a quella
aristocratica di palazzo in otto sezioni tematiche per raccontare la
storia di un’etnia che, nata seminomade, sognò di fermarsi finalmente in
Italia acquisendo a poco a poco lingua, religione, leggi e cultura dei
romani, a loro volta già occupati dai Goti.
«Insediamenti e necropoli
erano dapprima separati. Del resto i Longobardi erano pochi, forse solo
150 mila individui e famiglie che si stanziarono in città e castelli
strategici per il controllo del territorio esteso fino a Benevento»,
spiega Caterina Giostra, collaboratrice scientifica della mostra. «Ma
dopo secoli persino i caratteri fisici si ibridizzarono, come scopriamo
dai ritrovamenti delle tombe».
Anche dai numerosi monili esposti
(anelli, collane, orecchini, fibbie e decorazioni di cinture) possiamo
registrare la graduale trasformazione dal gusto germanico dei primi
tempi, caratterizzato da una predilezione per figure di animali astratti
e scomposti, alle forme più armoniose e alle iconografie del mondo
cristiano e romano. E se a Povegliano Veronese è stato ritrovato uno dei
reperti che più piaceranno ai bambini, e cioè l’impressionante
scheletro di cavallo sepolto accanto a due cani, testimonianza dei riti
pagani con il sacrificio dell’animale più caro accanto al suo guerriero,
in un’altra tomba a fianco del cavallo fu deposta una croce cristiana
in lamina d’oro.
Tuttavia, per riuscire a insinuarsi nell’incrinatura
del sistema bizantino, che aveva ingaggiato un ventennale conflitto
contro i Goti, e per conquistare con una serie di guerre lunga due
secoli un pezzo di territorio dopo l’altro fino a controllare due terzi
dell’Italia, gli invasori dovevano mantenere una forte identità etnica,
legata all’esercito.
«La tesi della mostra è dimostrare che
resistette a lungo», spiega Gian Pietro Brogiolo, curatore della
rassegna assieme a Federico Marazzi. «Per i Longobardi i romani rimasero
i nemici. Esiste un’identità longobarda che persiste fino alla fine del
VII secolo per esigenze di coesione interna, indispensabile per
mantenere uno stato di belligeranza continuo». Per esempio, racconta
Brogiolo, il diritto longobardo dell’Editto di Rotari conviveva con
quello romano e si applicava alla sola popolazione occupante. Ancora nel
VII secolo, verso la fine del regno longobardo, Liutprando ammetteva
che il sistema del duello per redimere le controversie non assegnava
necessariamente la vittoria al giusto, bensì al più forte. Ma, diceva,
non era possibile cambiare quella legge perché apparteneva alla
tradizione del loro popolo.
I video e le didascalie che accompagnano
ogni sezione della mostra aiutano il visitatore a districarsi anche fra
le questioni religiose, con le divisioni fra il culto ariano e
cattolico, che furono fondamentali nel processo di integrazione e
conquista.
Dalla quinta sezione, quando si affronta l’introduzione
della scrittura da parte di un popolo che era stato barbaro fra i più
barbari, di quelli, cioè, che non avevano avuto contatti diretti con
l’Impero romano, si passa dal racconto della vita quotidiana, a quello
sulla gestione del potere che culmina con la fondazione e il controllo
dei monasteri.
«Nei due secoli di dominio, una delle trasformazioni
più radicali è la conversione al cristianesimo», riassume Caterina
Giostra. «L’arrivo dei Longobardi rappresentò una rottura violenta nella
continuità della lunga storia romana e una novità dirompente anche
rispetto all’invasione dei Goti che si erano posti come continuatori
dell’Impero. Però, dopo lo strappo, la loro presenza creò le premesse
per la ricucitura di un nuovo tessuto alla base del nostro Medio Evo».