Corriere 28.9.17
la legge elettorale mista può offrire buone garanzie
di Valerio Onida
Caro
direttore, si può discutere nel merito il progetto di legge elettorale,
prescindendo per un momento dalla considerazione degli interessi
particolari o dei vantaggi e degli svantaggi che ciascuna forza politica
pensa di riceverne? In sé esso rappresenta un indubbio passo avanti, e
potrebbe essere la chiave per superare la scandalosa situazione di
apparente impotenza parlamentare in cui sembrava fossimo finiti.
Un
passo avanti per più motivi. In primo luogo perché sembra potersi
raccogliere intorno alla legge, come è giusto che sia in questa materia,
un consenso ampio e trasversale, anche se non unanime. In secondo luogo
perché la proposta prefigura un sistema elettorale omogeneo sia per la
Camera che per il Senato (superando il paradosso di due sistemi diversi
non per scelta, ma perché nati in tempi diversi e «manipolati» in senso
diverso dai «tagli» operati dalla Corte costituzionale). Inoltre, il
sistema «misto» che si prevede, in linea di principio (e salvo quanto si
dirà subito dopo), appare in grado di assicurare la rappresentanza dei
territori e delle tendenze politiche in presenza di un quadro politico
frammentato come l’attuale.
In linea di principio esso potrebbe
contemperare i vantaggi di un sistema maggioritario con quelli della
proporzionale, e consentire un rapporto più diretto fra elettori ed
eletti.
Secondo la proposta presentata dal relatore alla Camera
(smettiamo, per favore, di inventare a ogni piè sospinto ridicoli nomi
latineggianti), un po’ più di un terzo dei seggi verrebbero attribuiti
in collegi uninominali (certo, abbastanza ampi, uno ogni 250.000
abitanti alla Camera, il doppio al Senato), e due terzi dei seggi
verrebbero attribuiti in base al voto di lista in collegi plurinominali,
con liste «bloccate» ma corte, di non più di quattro candidati. Le
liste possono coalizzarsi fra di loro concordando in questo caso anche i
nomi dei candidati comuni nei collegi uninominali. L’elettore esprime
un solo voto, che vale contemporaneamente per l’elezione del candidato
nel collegio uninominale e per l’attribuzione dei seggi alla lista nei
collegi plurinominali. Può votare solo la lista o una delle liste
coalizzate, e in questo caso il suo voto vale automaticamente anche per
il candidato nel collegio uninominale a cui quella lista è collegata.
Può votare solo il candidato nel collegio uninominale, e in questo caso
il suo voto vale automaticamente anche per tutte le liste a esso
collegate, distribuendosi fra di esse proporzionalmente ai voti ottenuti
da queste nel collegio plurinominale.
Qui sta il punto dolente,
perché non fedele alle sue premesse, del progetto. La previsione delle
coalizioni (che l’attuale legge per la Camera invece esclude) è
positiva, consentendo agli elettori, nella grande frammentazione di
liste e listarelle che si prevede, di orientarsi secondo grandi
tendenze, ma anche di distinguere il proprio voto da altri pur non
radicalmente alternativi. La logica maggioritaria del collegio
uninominale a turno unico impone la ricerca di accordi di coalizione,
perché la maggior parte dei singoli partiti non possono ambire a far
prevalere il proprio candidato.
Tuttavia il collegio uninominale
presuppone che l’elettore scelga la persona del candidato, mentre per la
quota proporzionale vi è la scelta di lista, coalizzata o meno. È
allora illogico che non si consentano due voti distinti, uno per il
collegio uninominale, al singolo candidato, e uno per il collegio
plurinominale, a favore della lista preferita, eventualmente anche
diversa da quella o da quelle collegate al candidato preferito. Col
sistema previsto il voto nel collegio uninominale è in realtà un voto di
lista (o di coalizione), non per il candidato, e infatti vale
contemporaneamente per l’una e per l’altra quota di seggi, costringendo
l’elettore, che intende scegliere la persona del candidato nel collegio
uninominale, a «votare» (anche se non vorrebbe), nel collegio
plurinominale, per una o più delle liste bloccate presenti nello stesso
collegio e collegate al candidato preferito.
In questo modo la
suddivisione fra quota uninominale e quota proporzionale perde senso.
Ogni voto viene computato in entrambe le quote, e la candidatura nei
collegi uninominali non si offre all’elettore come scelta della persona
indipendentemente dal partito, ma semplicemente come indicazione di uno
(il primo) degli eletti nell’ambito della lista o della coalizione
votata; e con l’effetto paradossale che la scelta dell’elettore per una
delle liste coalizzate lo «costringe» ad esprimere contemporaneamente il
voto per un candidato nell’uninominale che potrebbe non rappresentare
la sua scelta, e perfino risultargli «ostico» perché frutto
esclusivamente degli accordi preventivi fra le liste coalizzate che lo
hanno individuato. E risulterà dunque impossibile valutare se il
risultato raggiunto da un candidato nel collegio uninominale sia il
frutto della fiducia da lui riscossa fra gli elettori, o invece solo
l’effetto «automatico» delle preferenze di lista espresse dagli elettori
nello stesso collegio.
L’introduzione di due schede diverse per
l’uninominale e la quota proporzionale, o al limite almeno del «voto
disgiunto» (come quello che si può esprimere ad esempio nelle elezioni
comunali, fra candidati sindaci e liste per il consiglio) consentirebbe
di rendere il sistema elettorale più conforme alla logica di un sistema
«misto», in parte maggioritario di collegio e in parte proporzionale,
che come si è detto sembra un carattere positivo della proposta.