giovedì 28 settembre 2017

La Stampa 28.9.17
La sfida di Corbyn ai robot: “Ci tolgono il lavoro”
Il leader laburista vorrebbe tassare le aziende inglesi che sostituiscono gli operai con l’automazione
Incoronato dalla folla Standing ovation a Brighton per il leader dei Labour
Parlando nella giornata di chiusura dei lavori, il leader laburista ha definito il suo partito «socialista moderno e progressista che ha riscoperto le propri radici»
di Alessandra Rizzo

Affrontare la sfida della «robotizzazione» delle aziende e proteggere i lavoratori. Nel suo discorso alla conferenza di partito, il leader laburista Jeremy Corbyn lancia la sfida a Theresa May, e lo fa da sinistra: fine dell’austerity, nazionalizzazione delle aziende che gestiscono beni essenziali come l’acqua, affitti controllati, tasse più alte alle imprese e ai ricchi.
E soprattutto protezione del lavoro, tema classico aggiornato all’era della rivoluzione tecnologica e digitale. «Dobbiamo affrontare la sfida dell’automazione e della robotica che potrebbe rendere superflui tanti posti di lavoro», ha detto a migliaia di delegati riuniti a Brighton in una giornata di sole autunnale. «Non potremo godere dei benefici dei progressi tecnologici se questi saranno monopolizzati per il profitto di pochi». Concetto che secondo il «Daily Telegraph» e altri vorrebbe dire una tassa per le imprese che dovessero sostituire i lavoratori con robot, oltre alle annunciate politiche per la formazione del personale nelle aziende.
Corbyn, 68 anni, è salito sul palco accolto da una «standing ovation», forte di un risultato superiore alle attese alle ultime elezioni e di sondaggi che lo danno a pari merito con i Tory guidati dalla traballante premier May. «Siamo pronti per governare», è stato il tema ricorrente del suo discorso, 75 minuti scanditi da applausi. Ha invitato i Conservatori «a farsi da parte» dopo quelli che ha definito i tentennamenti sulla Brexit e una tornata elettorale che li ha lasciati senza maggioranza in Parlamento, costretti ad un governo di minoranza con gli unionisti nordirlandesi.
Nonostante le sconfitte dei socialdemocratici in Germania e dei socialisti in Francia, e le difficoltà di tanti partiti di sinistra in Europa, Corbyn si dichiara orgogliosamente e tradizionalmente socialista. Ha archiviato il New Labour di Blair e spostato l’asse del partito. «Siamo un partito socialista moderno e progressista che ha riscoperto le proprie radici, andando in controtendenza rispetto all’Europa», ha detto. Fa leva sul senso di incertezza generato dalla crisi finanziaria del 2008 e dai processi di globalizzazione e digitalizzazione (in questo senso va intesa anche la battaglia ai robot nelle fabbriche). Ma se il suo messaggio fa presa tra le élite cosmopolite delle grandi città e sui giovani cui promette di tagliare le tasse universitarie, stenta a fare breccia tra le fasce più deboli del Paese profondo. E, sebbene il partito sia cresciuto, deve ancora convincere la maggioranza dei britannici, e alcuni moderati nel partito. Ma certo le divisioni del passato sembrano per ora messe da parte. «È l’incoronazione di Corbyn», ha scritto l’«Economist» in un articolo online. «Ma anche la resa formale dei moderati laburisti».
Corbyn va dritto per la sua strada. Ha evocato la tragedia di Grenfell, il rogo di una casa popolare nel cuore ricco di Londra diventato simbolo di disuguaglianza; e ha proposto innalzamento dei salari pubblici e affitti controllati per limitare la «gentifricazione» dei quartieri. E intanto studia da primo ministro, anche se le elezioni non sono previste prima del 2022. «Siamo un governo in attesa», giura.