Corriere 1.9.17
Da Orlando a Grillo, la giostra siciliana Così va in scena il teatro dei pupi
di Gian Antonio Stella
Le accuse incrociate dei paladini di ogni colore. Ma ogni pronostico è azzardato
«Ollannu
e Rinardu sunnu chiddi ca fannu calari ‘a pasta», dicevano i vecchi
pupari. Cioè quelli così amati tra i pupi siciliani che facevano
«buttare la pasta». Reggevano la scena. Davano da mangiare. Ma riuscirà
l’ultimo Orlando siculo (quel Leoluca che si vanta d’avere vinto «sette
comunali su sette» e come trionfatore delle ultime si è preso il diritto
di decidere squadra e strategia) a condurre alla vittoria la rissosa
accozzaglia di paladini d’ogni stampo e colore per la cui guida ha
scelto il rettore Fabrizio Micari?
I sondaggi, per ora, non
sembrano entusiasti del «modello Orlando senza Orlando» lanciato
sperando di ripetere il successo di mesi fa a Palazzo delle Aquile.
Anzi. Al punto che la «coalizione civica a trazione Pd» immaginata dalla
coppia Leoluca-Matteo (Renzi) potrebbe arrivare addirittura terza dopo
quelle dei grillini e della destra che, dopo anni di deriva, sembra
avere preso nuovo vigore. E potrebbe perfino fare la sorpresa.
Quel
che è certo è che la sfida si è via via animata e contraddetta e
scompigliata al punto di somigliare sul serio una di quelle
rappresentazioni di pupi che andavano avanti per mesi e mesi, in un
incessante sbatacchiar di armi per «la più invisibile delle guerre
invisibili». Senza però la presenza del «perdomani», il pupo che
anticipava che cosa sarebbe successo nella puntata successiva.
E
se manca un Gano di Maganza capace di attirare l’odio di tutti (lo
storico Antonio Pasqualino racconta che molti anni fa a Gela uno
spettatore «acquistò il Gano di Maganza dal puparo, lo appese a un
albero e gli sparò a lupara»), i rancori di decenni spaccano un po’
tutti i partiti. Avvelenando il dibattito su tutti i temi. Come il
conflitto di interessi di Fabrizio Micari, che a dispetto degli appelli
da destra e da sinistra ha detto che si dimetterà da rettore solo se
sarà eletto governatore e farà dunque tutta la campagna elettorale
tenendo stretta la poltrona da cui dirige la più grande università
siciliana che dà lavoro a 4.500 dipendenti (che votano). O i conflitti
passati di Gaetano Armao, il leader dei «Siciliani Indignati» che ai
tempi in cui era assessore regionale invocò la privacy (sic…) contro i
cronisti che avevano rivelato come nella veste di avvocato avesse
patrocinato le cause di alcuni clienti contro la Regione e contro gli
stessi assessorati che gli erano stati affidati.
Per non dire
delle accuse ai pentastellati, su tutti Luigi di Maio e Alessandro Di
Battista, d’avere dimenticato pagine importanti del movimento, come
quella del maggio di tre anni fa quando una pattuglia di grillini, in
testa Claudia Mannino e Riccardo Nuti (finiti poi nei guai per la
vicenda delle firme false) ebbe il fegato di occupare con un megafono la
piazza centrale di Montelepre, vuota, sarcastica e ostile, per un
comizio contro la mafia proprio là, nel fortilizio di Salvatore
Giuliano. Dove scelsero di rintanarsi i latitanti Giovanni Brusca e
Salvatore Lo Piccolo e dove Crescenzo Guarino scrisse che «si impara
l’arte di non passare mai davanti a finestre e balconi». Un atto di
sfida non ripetuto, in questa estate torrida, neppure nelle terre di
Matteo Messina Denaro. «Ci attaccano non su quello che diciamo ma su
quello che non diciamo», ha scritto sul blog di famiglia, ricordando
varie intimidazioni contro sindaci del M5S Giancarlo Cancelleri, che
molti additano già come il governatore in pectore. Una frase infelice.
Perché se anche il turbo-renziano Michele Anzaldi cerca la rissa
paragonando la ritrosia grillina a quella di Jonny Stecchino («il
problema di Palermo è il traffico») e dimenticando al contrario troppi
silenzi, ambiguità, complicità dei partiti di sinistra e di destra,
quelle parole sono state usate più o meno identiche da decine di
politici ben decisi a non toccar mai il tema del cancro mafioso.
E
così, mentre gira e gira la giostra elettorale dove non si capisce bene
su quale cavallino abbiano deciso di salire molti protagonisti (a
partire dagli alfaniani, ovvio: di qua o di là?), spicca l’immobilità
sostanziale di una classe politica che fatica da anni a individuare
eventuali purosangue. E subisce la tentazione, mentre tutto si muove, di
restar lì, ferma. Al punto che perfino la «nuova» sterzata dei
fuoriusciti democratici, con la candidatura di Claudio Fava (prima volta
all’Ars 25 anni fa) viene celebrata dove? A Enna, la capitale del
«regno rosso» di «Mirello» Crisafulli, il potentissimo ras spesso
contestato dai suoi stessi compagni per certi rapporti, diciamo così,
disinvolti.
Fatto sta che, a poche settimane dalle elezioni, le
cronache traboccano di due nomi: Nello Musumeci e Rosario Crocetta. Gli
sfidanti di cinque anni fa. Il primo, sopravvissuto alle risatine
ironiche quando da presidente della Provincia di Catania varò
l’innovazione di chiamare i consiglieri provinciali «onorevoli» e
fortissimamente sostenuto da Giorgia Meloni e Matteo Salvini, ci riprova
sfidando la sinistra, i grillini e la scaramanzia. Nella corsa alla
presidenza regionale, infatti, è già stato battuto due volte. L’antico
adagio (non c’è due senza…) non lo scoraggia. Né lo scoraggiano certi
compagni di viaggio sui quali, da galantuomo quale rivendica di essere,
spara a zero da anni.
Non meno tenace, però, è Rosario Crocetta.
Cinque anni a cambiare assessori. Cinque anni a battagliare con tutti, a
fronteggiare polemiche, mozioni di sfiducia, accuse velenose… Eppure è
ancora lì. Bellicoso. Deciso a non mollare. A prendere a ceffoni prima
chi voleva le primarie come Davide Faraone («È solo un capo corrente.
Esprime opinioni a titolo personale»), poi chi vorrebbe evitarle a costo
di violare lo statuto: «Non c’è alternativa alle primarie. C’è tutto il
tempo per farle». Altrimenti? L’ha spiegato al Corriere : «Non sarò io a
rompere col Pd, ma se non dovesse arrivare un accordo la crisi di
governo sarebbe inevitabile». Con l’istantanea decapitazione degli
assessori sopravvissuti. Ma è davvero ancora possibile un accordo, dopo
tanti insulti, tante risse, tante ripicche? Sì, ma alle condizioni sue.
Ribadite ieri a La7 : «Non posso essere escluso dalla corsa per un
complotto oligarchico: io sono il candidato naturale…».