Corriere 1.9.17
«Solo il 7% delle donne ha la forza di denunciare»
Il sociologo Marzio Barbagli: non ci sono dati per dire se gli extracomunitari ne commettano di più
di Mariolina Iossa
Professore,
quanto influisce la cultura, la percezione della donna, in questa
escalation di violenze sessuali da parte di immigrati?
«Il
problema, nel dare una risposta a questa domanda — spiega il sociologo
Marzio Barbagli, professore emerito a Bologna — è che il numero di
denunce per violenza sessuale è molto basso in Italia. Solo sette donne
su cento, secondo i dati Istat, sporgono denuncia. Ancor meno lo fanno
le donne violentate da familiari, amici, conoscenti. E pochissime sono
le straniere che si rivolgono alla polizia».
Non c’è quindi un’incidenza maggiore degli stranieri che commettono violenza sessuale rispetto agli italiani?
«Dico
solo che non ci sono dati solidi da cui trarre conseguenze certe. Come
invece ne abbiamo per altri tipi di reato, per esempio gli omicidi, dove
l’incidenza degli stranieri è maggiore. Va però detto che sia le
violenze sessuali, sia gli omicidi, diminuiscono in maniera costante in
Italia a partire dal 1992, e la tendenza non si è mai arrestata».
Non
crede che il retroterra culturale dei musulmani, provenienti da una
società dove la donna è sottomessa, possa influire sui loro
comportamenti rispetto all’universo femminile?
«Sappiamo bene che
la base culturale degli immigrati, e degli islamici in particolare, è
diversa dalla nostra, e che in molti Paesi musulmani esistono
innumerevoli forme di sottomissione della donna. Ma non possiamo dire se
questo abbia una diretta influenza sulla violenza sessuale. C’è da
sottolineare invece che i maschi stranieri che arrivano da noi sono
molto diversi da quelli che restano nel Paese di origine. Sono più
giovani, più dinamici, più moderni».
Più moderni anche nelle relazioni con le donne?
«Sì.
Gli stranieri non sono simili agli europei, culturalmente, ma sono
molto lontani dalle famiglie rimaste a casa. E in Italia si comportano
diversamente. Lo vediamo per esempio nella sfera religiosa. Gli
immigrati islamici non si convertono al cattolicesimo ma la maggioranza è
molto “tiepida” verso le sue stesse pratiche religiose».
La percezione che ne hanno gli italiani sembra essere diversa.
«Invece,
analizzando bene il fenomeno, è evidente che l’immigrato ha già in sé
una diversità di orientamenti, desideri, aspirazioni e stili di vita, e
ha molte più informazioni sul mondo dove va, rispetto ai parenti che
sono rimasti nel loro Paese. Per esempio, ha più fiducia nella medicina,
si adegua alle forme di intrattenimento, di vita sociale, e quindi
anche ai rapporti tra i generi».