venerdì 1 settembre 2017

Corriere 1.9.17
Cefalonia scuote il premio Acqui «Anche collaborazionisti sull’isola»
di Antonio Carioti


Su come si comportarono i tedeschi sull’isola greca di Cefalonia (Mar Ionio), nel settembre 1943, non esistono dubbi: fu un feroce crimine di guerra fucilare un gran numero di militari italiani della divisione Acqui catturati dopo una settimana di combattimenti. Ma è sulle scelte dei nostri connazionali che i pareri divergono: una discussione riaperta dal libro di Elena Aga Rossi Cefalonia (il Mulino, 2016), che si è inasprita con la decisione di includerlo nella cinquina finalista del premio Acqui Storia, creato proprio per onorare i caduti dell’omonima divisione.
Il volume, recensito da Paolo Mieli sul «Corriere» il 5 settembre 2016, svela che un po’ di polvere venne nascosta sotto il tappeto per celebrare il martirio dei nostri militari sterminati: incertezze ed errori nelle trattative con i nazisti, episodi di insubordinazione contro il comandante della Acqui, generale Antonio Gandin (fucilato dopo la resa e medaglia d’oro alla memoria), considerato filotedesco da coloro che premevano per volgere le armi contro gli ex alleati. Il numero dei caduti fu gonfiato: si è parlato di 9 mila vittime, mentre una valutazione realistica fa scendere a circa 2 mila il conto degli uccisi sull’isola.
Il punto più scottante riguarda però l’allora tenente Renzo Apollonio. Sulla base di documenti dell’epoca, tra i quali spiccano una relazione del 1946 di Ermanno Bronzini, capitano della Acqui, e un rapporto di Livio Picozzi, ufficiale inviato a Cefalonia dall’esercito nel 1948 per indagare sugli eventi, Elena Aga Rossi ne ha ricostruito l’operato in termini molto critici. Secondo questa versione dei fatti, sostenuta anche dallo storico tedesco Hermann Frank Meyer (autore del libro Il massacro di Cefalonia , Gaspari editore), Apollonio prima spinse per lo scontro con la Wehrmacht; poi sfuggì alla strage in circostanze poco chiare; quindi collaborò in posizione di comando con le forze del Terzo Reich, svolgendo anche missioni per conto loro a Belgrado e Atene; infine prese contatti con gli Alleati, che gli chiesero di arrendersi come capo del presidio lasciato dai nazisti sull’isola dopo averla evacuata, e riuscì a tornare in patria con tutti gli onori, dichiarando di aver svolto un’attività clandestina antitedesca di cui però sono rimaste ben poche tracce.
Dato che Apollonio, poi divenuto generale e scomparso da tempo, aveva assunto un ruolo di rilievo tra gli ex commilitoni, fino a diventare presidente dell’Associazione nazionale dei reduci della divisione Acqui e dei loro familiari, il libro ha suscitato reazioni aspre da parte di alcuni soci dell’organizzazione, secondo i quali l’autrice non ha tenuto nel debito conto altri documenti, come un giudizio del 1949 che dichiarò infondate le accuse di collaborazionismo rivolte ad Apollonio e una ritrattazione sottoscritta da Bronzini 31 anni dopo la sua relazione, nel 1977. D’altra parte l’Associazione ha rifiutato la proposta di Elena Aga Rossi di pubblicare sul suo sito web un altro rapporto di Picozzi sfavorevole ad Apollonio, inviato nel 1948 al capo di stato maggiore Luigi Efisio Marras, e una lettera in sintonia con le tesi del libro firmata da Rocco Russo, nipote di don Romualdo Formato, cappellano della divisione di stanza a Cefalonia.
Quando poi il saggio edito dal Mulino è stato incluso nella cinquina del premio Acqui (sezione scientifica), diversi membri dell’Associazione hanno scritto al Comune della cittadina piemontese, che organizza la manifestazione, per esprimere il loro dissenso. Si tratta, tengono a specificare gli interessati, di interventi a titolo personale. Bisogna aggiungere tuttavia che a nome dell’Associazione, Tiziano Zanisi, delegato ai rapporti con il premio, ha spedito alla stampa una lettera dai toni pacati, ma nella sostanza niente affatto tenera verso Elena Aga Rossi. Pur dichiarando di non voler interferire con il compito della giuria, la lettera definisce «un passo falso» la qualifica di collaborazionista attribuita nel libro ad Apollonio.
L’assessore alla Cultura del Comune di Acqui, Alessandra Terzolo, dichiara al «Corriere» che ha pensato di promuovere un chiarimento: «Noi rispettiamo il valore scientifico del libro, ma anche le posizioni espresse dai reduci di Cefalonia e dai loro familiari: mantenendoci neutrali, vorremmo organizzare un dibattito tra l’autrice e uno storico designato dall’Associazione Acqui, da svolgere dopo l’assegnazione del premio, per non influenzare la giuria, ma possibilmente prima della sua consegna».
Questa ipotesi, che ricorda un po’ i faccia a faccia televisivi, non convince Elena Aga Rossi: «Sono disposta a un confronto nell’ambito di un convegno tra studiosi sulla questione di Cefalonia, ma dev’essere del tutto svincolato dal premio Acqui. Non mi sembra opportuno aderire a iniziative che nei fatti finirebbero per risolversi in un processo al mio libro».
Una posizione che Maurilio Guasco, presidente della giuria del premio, giudica sensata: «Capisco che l’autrice non voglia mettersi a confronto con persone che hanno attaccato duramente il suo saggio: si rischierebbe la rissa. Altra cosa sarebbe un seminario o una tavola rotonda tra gli studiosi che si sono occupati di Cefalonia. Un’iniziativa che sarei disponibile a presiedere».
Il sindaco di Acqui, Lorenzo Lucchini, ritiene che ci sia spazio per tenere aperto il dialogo: «Lavoreremo per trovare una soluzione che consenta un confronto sereno».