Corriere 15.9.17
Il messaggio (Politico) della Chiesa
di Ernesto Galli della Loggia
Può
il messaggio cristiano, oggi in Occidente, prestarsi come un tempo a
una qualche forma di specifica mediazione politica? Cioè può quel
messaggio essere ancora tradotto in indicazioni praticabili dalla
politica in una società come la nostra? E in tal modo, per esempio, dare
luogo a uno specifico impegno politico dei cattolici?
La risposta
va cercata nei nuovi indirizzi pastorali che non senza forti
discussioni al suo interno vedono oggi impegnata la Chiesa cattolica.
Indirizzi che sono forse la più eloquente testimonianza di quella nuova
epoca storica che si sta aprendo e che agli occhi della Chiesa (e non
solo dei suoi) si caratterizza per un vero e proprio terremoto dei
rapporti di forza: vale a dire la fine dell’egemonia sul processo
storico mondiale da parte sia dell’area euro-atlantica e forse, almeno
tendenzialmente, da parte addirittura dell’intero emisfero
settentrionale.
Ha certamente a che fare con questa visione la
scelta della Chiesa — voluta con forza da papa Francesco — di assumere
come direttiva cardine ed esclusiva per la propria presenza sociale il
comandamento della «misericordia»: deponendo con ciò l’ipotesi di ogni
diverso ruolo propriamente politico. Il che in qualche modo appare
peraltro come la logica conclusione di quel processo iniziato da tempo,
che dapprima ha visto il rifiuto di qualsiasi collateralismo (tipo
quello che una volta caratterizzava il rapporto tra la Chiesa e la
Democrazia cristiana), e in seguito l’eguale rifiuto di far svolgere
alla religione cristiana la parte di una «religione civile».
La
parte, cioè, per dirla con Enzo Bianchi, di «intonaco per il muro
cadente dell’Occidente, percepito come inerente al Cristianesimo». Al
Cristianesimo — a quello cattolico in specie — inerisce il mondo, non
certo l’Occidente.
Tutto porta dunque a concludere che alla
domanda iniziale la risposta sia negativa: in questa parte del pianeta
non sembra esserci più spazio alcuno per una specifica mediazione
politica del messaggio cristiano e per uno specifico impegno politico
dei cattolici.
Le cose non appaiono così semplici, però, se si
considera il modo in cui la Chiesa cattolica, proiettandosi sulla scena
mondiale, intende concretamente il comandamento della misericordia.
Nella prassi e nel discorso quotidiano tale comandamento, come è noto,
viene tradotto nella tematica dei «diritti umani»; significa i «diritti
umani»: sicché questa in pratica è la sola presenza «politica» (
beninteso fra virgolette) che oggi la Chiesa sembra volersi concedere.
Ora, tuttavia, proprio rivestendosi della tematica dei «diritti umani»,
la presenza della Chiesa, lungi dal manifestarsi con contenuti propri ed
esclusivi riferibili a lei specificamente, si sovrappone ampiamente
però ad altre presenze organizzative, ideali e politiche, che nulla
hanno a che fare con la sua tradizione. A cominciare ovviamente dalla
presenza delle grandi agenzie internazionali come l’Onu o la Fao le
quali trovano per l’appunto nei «diritti umani» un loro ambito e un loro
presupposto decisivi. Un’analoga ampia sovrapposizione esiste poi
rispetto a componenti per così dire laico-progressiste proprie
dell’universo ideologico-politico dei Paesi occidentali: componenti che
anch’esse nulla hanno a che fare specificamente con la tradizione
cattolica. Tra l’altro con una particolarità di non poco conto: e cioè
che sempre più spesso tali componenti annoverano tra i «diritti umani», e
rivendicano come tali, un certo numero di diritti — riguardanti ad
esempio gli stili di vita sessuali, i rapporti matrimoniali, il fine
vita, la genitorialità artificiale o quella medicalmente assistita — che
di certo sono estranei a qualunque prospettiva condivisa o
prevedibilmente condivisibile dalla Chiesa di Roma.
Non basta.
Sempre nominalmente infatti (ma i nomi non sono mai frutto del caso) la
tematica dei «diritti umani» — stavolta nella sua versione laicissima se
non laicista dell’«umanitarismo» — è pure quella che oggi anima la
straripante presenza pubblica di alcune ricchissime e influentissime
figure di «filantropi mondialisti» — non saprei come altro chiamarli:
tipo Soros o Zuckerberg o Bezos — ormai assurti al rango di veri e
propri profeti mediatici: anch’essi non solo estranei ma senz’altro
ostili al cristianesimo cattolico.
Ci si trova di fronte, insomma,
a una triplice sovrapposizione tanto più potenziale fonte di equivoci
in quanto molto spesso i diritti umani sembrano essere intesi dalla
Chiesa con una radicalità che non ammette deroghe né compromessi. O
comunque con una estrema varietà di toni che non contribuisce certo alla
chiarezza.
Resta il fatto che per un paradosso solo apparente,
proprio la radicalità che spesso nell’ambito della Chiesa accompagna il
discorso dei «diritti umani» contribuisce — starei per dire quasi
naturalmente — non solo a rendere quanto mai «politicamente sensibile»
il messaggio religioso che si riveste del discorso ora detto, ma ancora
di più: a collocarlo di fatto nel quadrante più estremo dello spettro
politico abitualmente presente nei Paesi democratici. Rischiando alla
fine, in tal modo, di dar vita a una «religione civile» la quale non è
meno tale per il fatto di assumere una forma antagonista, simmetrica
anche se opposta, rispetto agli orientamenti oggi prevalenti in
Occidente. Il che in ogni caso è la conferma — comunque si cerchi di
evitare lo scoglio — di una consustanziale, inevitabile, crucialità
politica del Cristianesimo, che lo rende, per chi sappia vedere, il
cuore tuttora pulsante e problematico della nostra civiltà.