Corriere 14.9.17
Quella violenza a Firenze e il nuovo volto delle città
di Federico Fubini
Due
studentesse americane vengono accompagnate a casa da due carabinieri in
una notte di fine estate a Firenze. Poche ore dopo, si presentano al
pronto soccorso per farsi curare e presentare una denuncia terribilmente
precisa. Dal punto di vista etico è inaccettabile, qualunque sia
l’esito delle indagini che adesso faranno il loro corso. Dal punto di
vista delle ragazze che partecipano alla vita notturna nelle città
italiane, da qualunque Paese provengano, è sconcertante; da venerdì
milioni di genitori hanno una ragione di più per non chiudere occhio
quando restano a casa da soli. C’è però poi un’altra prospettiva dalla
quale guardare a questa vicenda che sta catturando l’attenzione dei
media americani. Una visuale che non spiega e ancora meno giustifica
l’accaduto, ma ne rivela il contesto. Un reato non avviene mai nel
vuoto. Quello di Firenze lascia intravedere come stia cambiando l’Italia
in questi anni di ripresa economica e anche come non stia cambiando
abbastanza in fretta. Perché tutta questa storia, fin dai minimi
dettagli emersi l’altra notte, ricorda cosa è in gioco per il Paese.
Le
due ragazze americane hanno accettato il passaggio dei carabinieri per
un semplice motivo: non avevano un altro modo per rientrare da sole.
Firenze è una di quelle città italiane dove a volte trovare un taxi
sembra impossibile e quella notte tutto è iniziato così. In un’area
metropolitana di un milione di abitanti, che in alta stagione ospita
quasi centomila turisti al giorno solo negli stretti confini comunali,
Firenze ha 780 licenze per auto bianche. In ogni singolo momento ce ne
sono in circolazione quattrocento al massimo, una ogni tremila persone
spesso molto mobili. I tassisti si sono organizzati per coprire le
ventiquattro ore, ma il governo locale che concede i permessi non usa le
normali tecnologie per controllare che i turni di notte vengano
realmente coperti.
Se ai seimila studenti delle decine di
università americane a Firenze tutto questo può suonare simpaticamente
folkloristico, ecco il resto: questa capitale del turismo globale ha
cacciato Uber. Letteralmente. Forse perché i dirigenti dei due grandi
sindacati dei tassisti vengono da Firenze (Claudio Giudici di Uritaxi,
Roberto Cassigoli di Cgil Taxi), qui chi possiede una licenza appare
particolarmente agguerrito. Uber aveva aperto a inizio 2016, ma dopo sei
mesi ha gettato la spugna. Gli autisti lo stavano abbandonando:
venivano continuamente denunciati dai tassisti alla polizia municipale,
che li fermava in servizio, controllava i documenti loro e dei clienti,
quasi fossero pericolosi sospetti. Uber a Firenze era sommerso di
richieste dei turisti, ma non riusciva a farvi fronte.
Avesse
funzionato, alle due americane sarebbe bastato un tocco sullo smartphone
per andare a dormire sane e salve. Lo stesso per la finlandese
aggredita a Roma pochi giorni dopo. Del resto anche il normale noleggio
con conducente non decolla per ragioni, in effetti, molto romane: la
delega al governo per dare certezze al settore è arrivata nella legge
per la Concorrenza, ma in ritardo di tre anni: dunque morirà incompiuta a
fine della legislatura. Nessuno in queste condizioni osa investire in
nuove auto a noleggio.
Poi c’è il contesto più ampio. Il
matrimonio fra i flussi turistici e le grandi piattaforme tecnologiche
sta generando una trasformazione sociale e geografica delle città
italiane di cui Firenze è emblematica. Provate a digitare «Florence» sul
portale «Home to Go» e per fine settembre vi appariranno 13.926 alloggi
in offerta in un comune di 375 mila abitanti. Solo su Airbnb, il
colosso californiano della rete, appaiono per Firenze 8.500 possibilità
di locazione breve; di queste la netta maggioranza sono interi
appartamenti. Stefano Picascia, Antonello Romano e Michela Teobaldi
dell’Università di Siena stimano che l’anno scorso il 18% degli
appartamenti del centro di Firenze, il 9% di quelli di Venezia, l’8% del
vasto centro di Roma e un quarto del centro di Matera erano affittati
tramite Airbnb. Quasi tutti turisti di passaggio, sempre per brevissimi
periodi.
Dall’anno scorso questa industria pulviscolare
dell’accoglienza è cresciuta a Firenze e in Italia almeno un ulteriore
20%, probabilmente molto di più, senza contare le offerte sul web di
appartamenti per periodi di mesi come quello che ospitava le due
americane. Oggi gli albergatori italiani detestano cordialmente Airbnb
come i tassisti Uber. Ma non sorprende che tutto questo accada: in
Italia il patrimonio delle famiglie vale quasi nove volte il reddito
nazionale di un anno — il multiplo più alto dell’Occidente — questa
fortuna è investita per due terzi in immobili, mentre il tasso di
occupazione resta il più basso fra le economie avanzate.
Con un
Paese bellissimo, il turismo globale e i giganti del web che rendono
tutto facile, si sta formando un ceto di italiani che fa quadrare i
bilanci familiari grazie agli affitti tramite Airbnb e simili. Non è un
male in sé. Ma cambia il volto dei centri urbani, allontana chi ci è
nato, genera problemi di sicurezza. Tutto questo fa emergere la nostra
stessa impreparazione di fronte alla metamorfosi delle città e
l’arretratezza dei costumi di alcuni dei nostri connazionali. La
disinvoltura con cui i due carabinieri pensavano di farla franca magari è
frutto di un caso infelice, ma fa riflettere.
Fanno riflettere
anche certe uscite fuori tempo dei politici. Matteo Salvini della Lega
ha provato a insinuare che ci fosse qualcosa di «strano» nella vicenda
di Firenze. Il sindaco Dario Nardella ( che poi si è chiarito) se l’è
presa con chi vede nella sua città «una Disneyland dello sballo».
Purtroppo è più complicato di così. Prima lo capiamo, meglio sapremo
dare un ordine a questo caos.