Corriere 13.9.17
Bersani: «Pisapia leader» Un passo avanti al tavolo della sinistra (tra battutine e frizioni)
D’Alema: nessuno ha in mente di eleggere un soviet
di M. Gu.
ROMA
Finito il vertice fiume, all’ora del caffè il dibattito sul futuro
della sinistra trasloca a Montecitorio. Nicola Fratoianni si ferma con
Bruno Tabacci, uno dei deputati più vicini a Giuliano Pisapia: «Avete
detto che per capirci qualcosa dobbiamo leggere il comunicato — affonda
perfido il leader di Sinistra Italiana —. Io l’ho letto, ma sembra
scritto dalla Tass...».
Fratoianni scherzava, ma il riferimento
all’Agenzia telegrafica dell’Unione Sovietica rivela l’accoglienza non
proprio affettuosa con cui gli altri spezzoni della sinistra hanno
salutato il primo coordinamento fra Mdp e Campo progressista. «Pisapia
non è il nostro leader», lo gela il segretario di Si. Bersani invece si
mostra contento, o quanto meno rassegnato: «Giuliano leader?
Assolutamente sì». E lui, che pure affida l’interpretazione della
giornata a un testo cesellato dagli spin doctor, assicura che «un
importante passo avanti» è stato fatto.
Un tavolone nella nuova
sede dei fuoriusciti dal Pd, quattro ore di confronto e, poco prima di
scappare in anticipo per raggiungere Delrio a Reggio Emilia, Pisapia
bacchetta i dirigenti del nascituro Insieme: «A parte Cecilia Guerra
siamo tutti uomini... Mai più riunioni come oggi. Dobbiamo allargare e
cambiare le nostre pratiche autocentrate, figlie di un modo fallimentare
di selezionare la classe dirigente». Al di là dei mugugni e dei dubbi
che neanche il summit con 19 uomini e una donna spazza via del tutto,
qualche elemento di concretezza comincia a emergere. Dopo mesi di
tensione sul diverso grado di fedeltà a Gentiloni, si decide che Pisapia
guiderà una delegazione a Palazzo Chigi per aprire «un confronto
stringente con il governo». Se Mdp sembrava pronto allo strappo sulla
legge di Bilancio, ora la mediazione prevede che si chieda «una svolta»
su lavoro, scuola e sanità. Lo ius soli? «Imprescindibile». E la legge
elettorale? «Irresponsabile» votare con due sistemi diversi.
Magari
la chimica non è scattata e il volto del nuovo soggetto fatica a
delinearsi, però Pisapia strappa l’impegno a seppellire le primarie,
perché, ripete Massimiliano Smeriglio, «il leader è Giuliano senza se e
senza ma». L’altra metà del tavolo incassa l’impegno scritto a costruire
un centrosinistra «alternativo alle politiche sbagliate del Pd di
Renzi». E non è poco per chi, come D’Alema, invoca «radicalità» per
rosicchiar voti ai dem. L’ex premier lascia la sede di Mdp senza
proferire parola («C’è il comunicato») dopo aver tranquillizzato a suo
modo i compagni di strada, preoccupati dal diverso peso delle forze in
vista del «grande momento di coinvolgimento popolare». È la prima
pietra: un’assemblea costituente da celebrarsi in autunno, anche se la
data non c’è. «Nessuno ha in mente di eleggere un soviet che schiaccia e
mortifica, non siamo pazzi», rassicura D’Alema, cui era stato
attribuito un certo zelo nel tesseramento: «Dobbiamo eleggere
un’assemblea democratica che rappresenti i nostri militanti, ma anche
tante altre forze con storie differenti, civiche e
dell’associazionismo».
La rotta di Pisapia resta «né listone con
il Pd né listino con Mdp». E la Sicilia? L’ira non gli è passata. Quando
Arturo Scotto gli rimprovera di essere «sparito dai radar» tutta
l’estate, l’avvocato va giù duro: «Avete deciso la linea senza farmi una
telefonata». La nota congiunta informa che il coordinamento «Mdp-Cp» si
riunirà «con regolare frequenza per dare concretezza agli impegni
assunti».