martedì 12 settembre 2017

Corriere 12.9.17
Ribellarsi è un’arte
Non più tecnica, ma interiorità così dal ‘900 la trasgressione è divenuta il vero atto creativo
di Nathalie Heinich

Generazione dopo generazione, l’arte moderna, a partire dagli impressionisti, ha messo in crisi, trasgredendoli, i principi canonici che definivano tradizionalmente le arti plastiche secondo il paradigma classico: trasgressione dei canoni accademici della rappresentazione da parte dell’impressionismo; trasgressione dei codici della figurazione dei colori da parte del fauvismo e poi dei codici della figurazione dei volumi da parte del cubismo; trasgressione delle norme di obiettività della figurazione da parte dell’espressionismo; trasgressione dei valori umanistici da parte del futurismo, delle norme del serio da parte del dadaismo, o del verosimile da parte del surrealismo; trasgressione dell’imperativo stesso della figurazione da parte delle diverse forme di astrazione, a partire dai primi acquerelli astratti di Kandinsky, passando per il suprematismo o il costruttivismo, fino all’espressionismo astratto posteriore alla Seconda guerra mondiale.
Questa serie di trasgressioni sul piano plastico finirono per normalizzare l’idea stessa di avanguardia insieme all’imperativo della singolarità, segnando il trionfo dell’originalità nel doppio significato di ciò che è nuovo e di ciò che appartiene propriamente a una persona. L’originalità va di pari passo con la trasgressione dei canoni, con l’accettazione e addirittura la valorizzazione dell’anormalità, in modo tale che il fuori norma tende a diventar la norma. Uno spostamento dall’oggetto alla persona, dalla normalità all’anormalità, dalla conformità alla rarità, dalla regola all’originalità, dal successo all’incomprensione, e dalla riuscita nel presente alla gloria postuma: ecco come si presenta il «regime di singolarità» che renderà celebre la figura leggendaria di Vincent Van Gogh.
Tuttavia si perderebbe di vista una dimensione fondamentale della modernità artistica se ci si limitasse alla produzione o alla percezione delle opere. In profondità essa coinvolge infatti anche la concezione di ciò che deve essere un artista. La dimensione estetica è qui indissociabile dalla dimensione psicologica e morale e in ciò risiede un’altra caratteristica fondamentale introdotta nell’arte dalla modernità. Nel corso del XX secolo si assiste infatti allo sviluppo di una nuova concezione dell’artista, caratterizzata da grandi aspettative sulla qualità della sua persona e non più solo sul suo talento.
Questa qualità garantisce la presenza nell’opera dei tre grandi criteri dell’autenticità artistica moderna, l’interiorità, l’originalità e l’universalità, senza i quali non c’è singolarità che tenga. Rispettata questa condizione, anche la più infamante delle singolarità, come per esempio la follia, si trasforma positivamente in risorsa estrema del creatore autenticamente ispirato, una figura quest’ultima propriamente moderna, impostasi poco a poco presso il grande pubblico grazie alla figura di Van Gogh.
Una delle principali caratteristiche dell’arte «moderna» — sottintesa nei discorsi sull’arte, nei giudizi di cui è oggetto, nei commenti che accompagnano le opere — è che si suppone che l’arte esprima l’interiorità dell’artista. È a questa condizione che le trasgressioni delle convenzioni plastiche diventano non soltanto accettabili, ma addirittura valorizzate. Questa interiorità rinvia al principio del carattere personale e soggettivo della visione come anche a quella «necessità interiore» che Kandinsky poneva all’origine dell’atto creativo. In questo senso l’impressionismo, il fauvismo, il cubismo e anche l’astrattismo manifestano plasticamente il modo di vivere dell’artista, mentre il surrealismo lo fa in modo fantasmatico, sul piano delle immagini interiori. In questo l’arte moderna rompe con l’arte classica, la cui esigenza primaria era la messa in opera degli standard della rappresentazione secondo riferimenti condivisi.
Parallelamente, il criterio dell’interiorità si manifesta anche nell’esigenza di autenticità: l’opera deve manifestare il suo legame con la persona dell’artista, a partire dai suoi pensieri, dalle sue percezioni e sensazioni, fino ai suoi stessi gesti. Il pennello intinto nella pittura e passato sulla tela, la materia grezza modellata o sbozzata dallo scultore, assicurano una continuità sensibile tra il corpo dell’artista e l’opera realizzata.
Sul piano psicologico, le aspettative in materia di qualità psicologiche, preposte al sentimento di autenticità in riferimento a un artista e, di conseguenza, alla pertinenza di un giudizio estetico sulle sue opere, si svelano nelle varie accuse di inautenticità che stigmatizzano gli artisti scansafatiche, furbacchioni, avidi di guadagni, superficiali, ripetitivi, banali. Se ne evince dunque che in arte l’autenticità esige da parte dell’artista quantomeno serietà, sincerità, disinteresse, interiorità, ispirazione e originalità.
Queste aspettative dunque non sono più legate alla competenza tecnica dell’artista, ma alle sue disposizioni psicologiche. Esse sono una delle conseguenze della «vocazionalizzazione» dell’identità dell’artista, in altre parole dell’abbandono di una definizione professionale dell’eccellenza a vantaggio di una definizione che pone l’accento sulla vocazione, sull’ispirazione, sul dono o talento innato. [...]
Estratto della Lezione magistrale in programma a Carpi, Piazzale Re Astolfo sabato 16 settembre 2017, alle 11,30, nell’ambito del Festivalfilosofia 2017, arti, © Consorzio per il Festivalfilosofia, traduzione dal francese di Tessa Marzotto