Corriere 11.9.17
Il romanzo segreto del caso Moro
Antonio Ferrari lo scrisse nel 1981, ma la pubblicazione fu sospesa. Esce adesso
di Francesco Cevasco
«Un
rompiscatole della memoria». L’intrigante definizione è
dell’ambasciatore Sergio Romano. E si attaglia perfettamente ad Antonio
Ferrari, l’autore di Il segreto , questo libro ostinato e contrario in
cui l’editorialista del «Corriere della Sera» racconta la verità sul
delitto Moro.
Ostinato, dicevamo non a caso. Perché questo libro
per trentacinque anni è rimasto sepolto nei labirinti delle case
editrici. E nei labirinti che «il potere» ha abilmente costruito per
nascondere tutto ciò che è scomodo.
Contrario, dicevamo non a
vanvera. Perché questo libro racconta una verità che è contraria a
quella che ci hanno voluto raccontare, per decenni, quasi per una
quarantina d’anni.
La verità cercata è quella sul caso Moro, sul delitto Moro.
Bene,
Aldo Moro «tira dentro», anche soltanto con l’astensione, pure «i
comunisti» nella maggioranza di governo. Correva l’anno 1978.
Insopportabile. Per i padroni del mondo occidentale d’allora, per i
custodi degli accordi di Yalta e anche per i rivoluzionari delle Brigate
rosse. Per i primi c’era il pericolo del vento dell’Est, una sorta di
pacifica ma pur sempre «invasione rossa». Per i secondi il pericolo che
venisse incrinato l’equilibrio su cui si fondava il potere dei
protagonisti della Guerra fredda. Per i terzi il pericolo che il
«compromesso storico» sfaldasse definitivamente, in Italia, lo spirito
rivoluzionario che, nella classe operaia, tirava ancora qualche
asfittico respiro.
Fatto sta che Moro viene eliminato. Ma prima di
essere eliminato dal gioco della politica e dalla sua stessa vita
passano cinquantacinque giorni. Di prigionia, di trattative, di ricatti,
di imbrogli, di febbrili lavori — puliti e, soprattutto, sporchi, di
tanti servizi segreti di tanti Paesi del mondo — fino al sospiro di
sollievo che accompagna la sua morte. Contenti i sostenitori della
fermezza della Stato italiano. Contenti gli americani (una parte) che
tramavano affinché la verginità dell’Italia non venisse violata dai
comunisti. Contenti i francesi che «in queste cose bisogna aver
prudenza». Contenti gli israeliani che «noi osserviamo tutto ma lasciamo
fare». Contenti quelli della Cecoslovacchia e di qualche altro
satellite sovietico che «i conti tornano: certe cose non si possono
cambiare superficialmente». Tutti contenti. E Aldo Moro è, inutilmente,
morto.
Anche il Papa di allora, Paolo VI, che non era certo una
tempra di rivoluzionario, ha lottato contro una morte ingiusta. Il suo
appello agli «Uomini delle Brigate rosse» è rimasto inascoltato. Moro è
morto. Doveva morire. Ecco il libro di Ferrari. Perché e chi? Perché
uccidere Moro? E chi c’è dietro quell’orrendo complotto?
C’era una
volta un albergo di Washington, il Marriott. Lì si trovarono, una sera,
un grappolo di personaggi ambigui. Non tutti sapevano perché erano lì.
Ma a reggere i fili che avrebbero mosso le marionette c’era il dottor
Alfred Greninger (questo è un nome di fantasia). Jimmy Carter era
presidente degli Usa. Ma a mister Greninger e alla sua Organizzazione
quel presidente, «un venditore di noccioline», non piaceva proprio.
Quelli del suo entourage (di Carter) che si occupavano di politica
estera non avevano chiuso la porta in faccia a quel miserabile di Moro.
Avevano detto un mezzo ok ai comunisti: nel governo no ma nella
maggioranza... A Greninger, e alla sua Organizzazione, non bastava,
bisognava fare in modo che «liberali, radicali e tutto quel marciume
intellettuale che qui, in America, ascoltano tanto fossero zittiti. E i
comunisti italiani? Dei pazzi intrattabili. Credono che si possano
inquinare gli equilibri del mondo con teorie ridicole. Che cos’è il
marxismo-leninismo libertario? Oppure il neocapitalismo comunista?».
Zittire, cancellare, sopprimere, con tutti i mezzi possibili.
E il complotto parte annodandosi ad altri interessi che, comunque, portano sempre allo stesso obbiettivo.
I
personaggi del libro di Ferrari hanno (quasi) tutti un nome di
fantasia. Ma, come ammette anche l’autore, è molto facile smascherarli. A
cominciare da Ron J. Stewart che corrisponde a Ronald Stark agente di
«un» servizio segreto americano che frequentò l’Italia ed entrò in
contatto con i vertici delle Brigate rosse. È facile identificare
Valerio Morucci e seguire le sue mosse di rigoroso capo
dell’organizzazione che però celano inquietanti ambiguità. Come rivedere
nel personaggio di Giusto Semprini uno di quei giovani disillusi del
Pci e illusi dalle Br che credevano veramente in una possibile e giusta
rivoluzione finché... O imbattersi in magistrati e poliziotti per bene
che ci hanno rimesso la vita o la carriera. E in intellettuali contorti
come Toni Negri. E in circoli culturali e politici (Kyrie nel libro,
Hyperion nella realtà) che diventarono crogiuolo di esperienze diverse:
convegni contro la repressione ma anche luogo d’incontro di spie di
tutto il mondo, palestra del pensiero rivoluzionario ma anche zona
franca per allestire complotti politici.
La ricostruzione del
sequestro e del delitto Moro si sposta da Roma a Milano: giusto quanto
basta per dire che questo libro è un romanzo e non un’inchiesta. Che poi
romanzo, questo libro, lo è davvero. Una lunga storia dove la suspense
non cede mai. Fino alle ultime otto righe, quando il lettore sperava di
aver trovato un po’ di quiete, di aver appagato almeno in parte i suoi
sentimenti di giustizia e invece...
La storia di come nasce Il
segreto è un romanzo nel romanzo. La racconta bene Ferrari nella
postfazione. C’è da sapere che l’autore, prima di essere inviato e poi
editorialista di politica estera, negli anni Settanta e primi Ottanta si
è occupato di terrorismo rosso e nero, due anni ha vissuto con la
scorta. Si presume che certe vicende le conoscesse bene quando nel 1981,
seduto alla scrivania che fu di Dino Buzzati, ricevette una telefonata
dal sopravvissuto manager, Salvatore Di Paola, allo scandalo P2 che
s’era abbattuto sul «Corriere». Più o meno gli disse: tu che sei persona
per bene scrivi un libro, in questo momento può essere utile far vedere
ai lettori che, nonostante tutto, siamo puliti. Per farla breve,
Ferrari scrisse il suo libro, questo di cui stiamo parlando. Per farla
breve, quando lo consegnò cominciò un gioco a nascondino tra i
responsabili della casa editrice: rinvii e rinvii spesso immotivati. Per
farla lunga, sono passati trentacinque anni da allora. In tutti questi
anni Ferrari ha ricevuto minacce, più o meno esplicite, che in qualche
modo si ricollegavano alle cose che sapeva e che aveva avuto il coraggio
di scrivere e il coraggio di volerle pubblicare. Bene, ora la storia è
finita. Il libro è stampato. Quell’Araba Fenice che è la commissione
parlamentare sul delitto Moro, che ogni tanto risorge com’è successo da
poco, oggi ha fatto proprie alcune tesi di Ferrari. E, forse, Il segreto
è un po’ meno segreto.