venerdì 7 luglio 2017

Repubblica 7.7.17
L’ex segretario non arretra e spera di allargare i consensi anche tra i renziani. “Parlare di lavoro è giusto, ma se non vinciamo governeranno altri”
Il ministro guida il dissenso “Idee diverse, io vado avanti”
di Goffredo De Marchis

ROMA. Nessuna apertura. «Se lui dice che è sbagliato parlare del tema delle alleanze, di quale apertura possiamo parlare?». Dario Franceschini incassa l’applauso più lungo della direzione, ma non da Matteo Renzi. Che lo guarda corrucciato durante il suo intervento e scuote vigorosamente la testa quando il ministro della Cultura dice che «il Pd da solo perde» o più esattamente che «il Pd così non vince» ma insomma è lo stesso. Franceschini continua a non capire l’ostinazione del segretario. «Il sindaco si occupa del marciapiede e allo stesso tempo della tenuta della sua coalizione. Questo non significa essere politicanti. Semmai pensare alla politica e ad amministrare bene i propri cittadini».
E quindi il duello rimane. Ieri in direzione si è giocato tutto proprio sul binomio tra la politica politicante, quella che si occupa degli alleati e non dei problemi, e la politica dei contenuti, quella dei programmi, del veto sul fiscal compact come ha sintetizzato Renzi. Naturalmente, è un’accusa che non va giù al ministro della Cultura e nemmeno ad Andrea Orlando. In fondo il concetto è chiaro: se il Pd arriva secondo o terzo alle elezioni, dei vincoli europei, dell’immigrazione, del lavoro che c’è e di quello che non c’è si occuperà qualcun altro. «È chiaro anche a me che in campagna elettorale non si dovrà discutere di coalizioni — insiste Franceschini — . Ma occorre puntare a vincere per fare in modo che sia il Pd a occuparsi del marciapiede». Alla fine il ministro e i suoi fedelissimi votano la relazione del segretario. Eppure Franceschini non sfugge alla questione di fondo, ammette che il problema rimane. «In un partito si discute, va bene così. Abbiamo sostenuto idee diverse, però. Continuano a essere diverse. E io vado avanti».
Come, il titolare della Cultura lo deciderà nelle prossime ore. Ma si è capito fin dall’inizio che non poteva fare un passo indietro, che il sasso lanciato dopo i ballottaggi non lo avrebbe rimesso in tasca. Ora Franceschini attende che maturino posizioni nuove dentro il cerchio dei renziani stretti. Per esempio il sindaco di Reggio Calabria Giuseppe Falcomatà, fan del segretario, ha parlato delle alleanze che servono per vincere al Sud: «Come dice Veltroni, voglio un partito maggioritario, ma non autosufficiente ». Sono piccole crepe significative? Non è ancora detto.
Renzi ha messo in riga i dissensi, soprattutto quelli di Orlando, il leader della minoranza che ha invocato il dialogo con Pisapia. «La storia delle coalizioni secondo me fa male alla politica. Io non voglio aiutare Pisapia voglio aiutare il Pd. Non siamo mica una confraternita religiosa che dà una mano al prossimo». Sempre al Guardasigilli che rivendica il diritto al dibattito, ribatte: «Voi non dovete cambiare le vostre idee ma nemmeno noi le nostre. Tanto più se avete preso al congresso il 25 per cento e noi il 70. La vocazione minoritaria no, per favore». Parole più che sufficienti per vedere gli orlandiani alzarsi e non partecipare al voto finale quando il ministro della Giustizia era già andato via per volare a Tallin. «Il discorso di Renzi non è stato all’altezza di un progetto - dice il coordinatore dell’area Orlando, Andrea Martella - e delle alleanze nella società che servono a portarlo avanti ».
Franceschini rimane seduto invece. Da solo, in mezzo alla sala, telefonino in mano e maniche di camicia. A lui Renzi si rivolge in maniera indiretta, ma contesta quasi punto per punto la sua analisi dei ballottaggi. «È inutile fare paragoni tra le comunali di oggi e quelle del passato. L’elettore ha altre logiche e ha bisogno di messaggi chiari dalla politica ». Poi, lo avverte: «Dario ha detto cose giuste qui. Altrove meno. Per esempio, su Repubblica.
Ma le discussioni si fanno nel partito, a meno che Repubblica non sia un altro partito». Attacca il ministro per il giudizio sui ballottaggi: «Nel 2013 abbiamo preso il 26 per cento, nel 2008 il 33 e nel 2014 il 40,8. Questi sono dati paragonabili, quelli con lo stesso simbolo. Le comunali non c’entrano niente». Come dire che la partita per le politiche sarà diversa. Ironizza sulle unioni civili: «Le abbiamo fatte noi. Ma voi, con le alleanze, mi proponete alcune unioni incivili...».
Dunque, la tregua non c’è. Esiste invece un’asse Franceschini- Orlando, tutto da consolidare magari intorno a una proposta di legge elettorale, e la linea di Renzi che prepara la campagna elettorale guardando da tutt’altra parte. Anche senza streaming, il confronto viene a galla lo stesso.