Repubblica 7.7.17
Il treno metafora del nuovo plebiscito
di Stefano Folli
ALLA
fine, dalla Direzione del Pd sono arrivate due notizie, a parte la
nuova frattura con la minoranza. La prima è che il segretario si
appresta a un viaggio di dieci mesi in treno con l’obiettivo di battere
palmo a palmo il territorio e rilanciare se stesso. La seconda è che il
Pd intende contrapporsi all’Europa “mettendo il veto al Fiscal Compact
nei trattati”, nella convinzione che per ottenere qualcosa si deve
ricorrere ai “diktat”.
Questi due punti (più la promessa di un
voto di fiducia sullo “Ius soli”) definiscono il profilo con cui il
partito renziano si appresta alla campagna elettorale.
LA QUALE è
ancora lontana, se è vero che mancano circa dieci mesi, ma per il leader
è già cominciata. O forse non è mai finita. Si capisce allora che il
tema delle alleanze, caro a Franceschini che pensa ai centristi e a
Orlando che si preoccupa di Pisapia, sia stato semplicemente ignorato
dal segretario: non senza una punta di insofferenza (“interessa ad
appena trecento persone”). Ma chi poteva essere così ingenuo da
prevedere un esito diverso? Il tema esiste, anzi è il tema politico per
eccellenza perché riguarda il futuro del centrosinistra e in fondo la
sua natura. Ma Renzi non ha mai inteso riaprire la discussione di
merito, tantomeno in piena estate.
Il segretario la vede in modo
opposto rispetto ai suoi critici. I quali, per la verità, lo irritano
ogni giorno di più per il solo fatto di avanzare obiezioni. Cuperlo è
già escluso dalla direzione, ma anche gli altri sono invitati
implicitamente a non mettersi di traverso ponendo questioni fastidiose.
Renzi il tema delle alleanze lo considera superato dal giorno delle
primarie. I due milioni che sono andati alle urne (in realtà circa un
milione e ottocentomila, di cui un milione e duecentocinquantamila hanno
votato per la sua rielezione) gli hanno conferito un mandato che egli
ritiene assoluto e totalizzante. Nel senso che stabiliscono una
relazione permanente fra il capo carismatico e il popolo, tagliando
fuori tutti i capi-corrente. O “capi-bastone”, come il segretario
preferisce dire quando non è in una sede ufficiale.
E qui entra in
gioco il treno. Che è il mezzo materiale con cui il leader girerà
l’Italia con in mano il suo libro Avanti, ispirandosi in parte al famoso
pullman di Prodi e molto al convoglio ferroviario con cui un tempo i
candidati alla presidenza degli Stati Uniti attraversavano quell’immenso
paese. Ma queste evocazioni hanno soprattutto un valore simbolico:
rappresentano l’idea plebiscitaria che Renzi ha del rapporto con
l’elettorato. Le prossime elezioni politiche sono per lui null’altro che
una rivincita rispetto al referendum del 4 dicembre, una sconfitta mai
realmente digerita e superata. Quel referendum era stato impostato come
un plebiscito personale e molti gli hanno rimproverato l’errore fatale.
Salvo che egli non lo ha mai considerato tale, al punto che oggi
reimposta una lunga, lunghissima campagna elettorale nello stesso modo
esatto: sulla base del nesso fra il capo e il popolo. L’elettore sarà
chiamato a votare per Renzi, non per qualcuno dei capi- corrente mal
tollerati. Si potrebbe dire: per Renzi e non per il Pd, a meno che
quest’ultimo non si identifichi fino in fondo nel suo leader consacrato
dalle primarie.
Rimane da capire perché egli non ha fondato “ex
novo” un suo movimento come ha fatto Macron in Francia. Il fatto di
essere rimasto a metà strada gli ha complicato la vita, costringendolo a
estenuanti confronti con “quadri” e personaggi a lui invisi. Con un suo
partito personale anche nel nome, avrebbe avuto mano libera su tutti i
temi e i programmi. Come si è visto ieri, l’intenzione è quella di fare
concorrenza ai Cinque Stelle nella sfida retorica all’Europa. Grillo
condanna il Fiscal Compact e anche Renzi dice qualcosa di molto simile,
dimenticando che il testo è stato già ratificato con il voto del Pd. Se
esistesse un movimento tutto “renziano” la contraddizione non
esisterebbe. La differenza è che Macron ha vinto facendo campagna in
nome dell’Europa (e degli interessi francesi) mentre Renzi vuole
combattere i Cinque Stelle appropriandosi di alcuni dei loro temi più
spinosi, come l’euro-scetticismo. Con il rischio di trasformare la
campagna in una gara fra populismi.