Repubblica 6.7.17
l M5S, che aveva imposto la moda, da tempo ha smesso
Addio al mito della finta trasparenza
Direzione senza diretta anche il Pd chiude l’era dello streaming
La decisione su richiesta di Orfini: “No alle passerelle, dobbiamo parlare tra noi”
di Goffredo De Marchis
ROMA. Bye bye streaming.
Forse
addio. Si chiudono le porte della direzione del Pd. Niente diretta oggi
da Largo del Nazareno, fine del fragile mito della trasparenza in
politica. I dem erano rimasti gli unici a trasmettere in tempo reale su
telefonini e pc i lavori dei loro organismi. Gli unici dopo la defezione
di Beppe Grillo, sostenitore della casa di vetro agli inizi e poi
gelosissimo degli incontri segreti, blindati, lontani dai cittadini
indiscreti. Saltano un giro anche i democratici, adesso. Lo ha chiesto
Matteo Orfini, che presiede quelle riunioni. Matteo Renzi ha detto sì,
stanco di un rito un po’ fasullo. A meno di ripensamenti dell’ultimo
minuto, c’è tempo fino a oggi alle 15.
Si torna all’antico, perché
lo streaming era diventato una passerella per i dirigenti, «quelli che
correvano a mettere il video dell’intervento sulla propria pagina
Facebook», dice Orfini, «la diretta serviva a parlare fuori invece
dobbiamo parlarci tra di noi».
Gli anni ’70 sono stati quelli
della parola scritta, gli ’80 e i ’90 gli anni della televisione, gli
anni ’10 del 2000 quelli dello streaming, ovvero del buco della
serratura spesso e volentieri senza niente di interessante da vedere. La
trasmissione live infatti era diventata una fiera dell’ipocrisia da una
parte e una rappresentazione della verità distorta dal mezzo. Il
modello Grande fratello funziona così. I reality sono realismo
approssimativo e lo streaming politica senza sfumature, senza
complessità. In più, come i
reality, la diretta di partito rende
tutti un po’ più “brutti” del vero, distanti dal mondo reale proprio
quando vorrebbero essergli più vicini. Pier Luigi Bersani si prestò a
una brutta figura quando accettò lo streaming dell’incontro con i 5
Stelle per convincerli a fare un governo con lui. Toccò poi a Renzi (per
la legge elettorale) accarezzarsi nervosamente la pancia sotto la
camicia bianca in diretta mentre Beppe Grillo faceva scattare la
trappola dell’aggressione. Alla fine il segretario del Pd recuperò con
una battuta: «Esci da questo blog, Beppe».
Ma si può tornare
indietro? Non si corre il rischio di una blindatura nel momento in cui
si accende il dibattito interno sul futuro del Pd? Piero Fassino si
accalora: «Grillo è tornato molto indietro e nessuno gli rimprovera
nulla ». All’ex segretario dei Ds la diretta non è mai piaciuta. Diceva
sempre, scuola antica, che «le sedi di discussione hanno una loro
identità, che si perde completamente quando le apri al pubblico ». Il
pubblico del web, poi...
È vero che il Cda di un’azienda si svolge
rigorosamente a porte chiuse, ma la politica, dove si parla del bene
comune, dev’essere trasparente, senza filtri. «È la rete — urlava a
Bologna Beppe Grillo al primo Vaffaday nel 2007 magnificando il blog e
lo streaming come forma di partecipazione dal basso — . È un serpente
che cambia la muta», qualsiasi cosa intendesse dire. Beh, è durata
pochissimo. Il tempo di un paio di riunioni dei parlamentari nel 2013,
compresa quella in cui ci fu il primo espulso di una lunga serie, Marino
Mastrangeli. Poi sono venute le aggressioni studiate a tavolino a
Bersani e Renzi. Fine. Adesso il comico riunisce i suoi all’Hotel Forum
di Roma, Davide Casaleggio usa i suoi uffici di Milano, Virginia Raggi
non ha mai fatto uno streaming delle sue riunioni. Semmai preferisce
andare a parlare sul tetto. E quando i giornalisti provano a raccontare
cosa succede dietro quelle porte chiuse scatta la gogna del blog e dei
relativi commenti. Sarebbe bello credere che non ci sia niente da
nascondere, ma solo il mestieraccio del teatrante che riconosce i limiti
del mezzo, trasformato in canone estetico di decadenza della Seconda
repubblica anziché di trasparenza.