Repubblica 4.7.17
Manconi
“Siamo lontani dal testo Onu si rischia l’incostituzionalità”
di Liana Milella
ROMA.
«L’Italia ha ratificato la convenzione Onu sulla tortura il primo
gennaio del 1988. Come ha ricordato sua madre è l’anno di nascita di
Giulio Regeni. Il fatto che nel nostro ordinamento non ci sia ancora il
reato di tortura forse ha privato l’Italia dell’autorevolezza morale e
giuridica necessaria per esigere dall’Egitto la verità su un nostro
connazionale torturato a morte». Dice così Luigi Manconi, il presidente
della Commissione per i diritti umani del Senato che ha presentato la
sua proposta sulla tortura il 15 marzo 2013, primo giorno di questa
legislatura. Ma di quel ddl non resta nulla in quello che finirà sulla
Gazzetta ufficiale.
Siamo alla vigilia del voto definitivo della Camera sulla tortura. Come la valuta?
«Molto
negativamente. Ho nutrito qualche dubbio sulla correttezza della mia
posizione. Ma poi, il 22 giugno, è giunta la lettera inviata a me e, in
primo luogo, ai presidenti di Camera e Senato, nella quale il
Commissario per i Diritti umani del consiglio d’Europa Nils Miuznieks
evidenziava le acutissime contraddizioni di quel testo di legge e ne
chiedeva la riscrittura sulla base di tre considerazioni principali, più
altre secondarie».
Un niet superpartes dunque. Su cosa si basa?
«La
prima critica è di ordine generale, il termine usato nella traduzione
italiana è “disallineamento” del testo rispetto alla convenzione
dell’Onu contro la tortura. E qui si apre una questione grande come una
casa. Il giurista Valerio Onida mi conferma che questa profondissima
difformità dalla convenzione Onu rivela un serissimo dubbio di
legittimità costituzionale con riferimento all’articolo 117 della nostra
Carta. Per il quale le convenzioni internazionali sottoscritte
dall’Italia vincolano il nostro legislatore».
Ma, nel merito, le contestazioni di Miuznieks inficiano l’applicabilità stessa del reato di tortura?
«Certo.
Il commissario entra nel merito ed evidenzia quel perverso slittamento
di senso – lo dico con parole mie – che presenta il testo rispetto alla
convenzione dell’Onu. Lì si parla di “ogni violenza”. Qui, in una
rovinosa precipitazione linguistica e giuridica, “ogni violenza” diventa
prima “violenze” al plurale, poi “reiterate violenze”. Infine la
soluzione peggiore: quel “più condotte” che può arrivare a distribuire i
trattamenti inumani o degradanti lungo un ampio periodo di tempo».
Quindi la Camera sta approvando un reato di tortura che non servirà per punire le torture?
«Come
ha spiegato il pm del processo per le violenze alla scuola Diaz al G8,
il dottor Zucca, la gran parte di quegli atti efferati, se giudicate col
metro del ddl che sta per essere approvato, non sarebbero qualificate
come torture».
I sostenitori della legge, all’insegna del “meglio questa che niente”, dicono però che le condanne saranno possibili.
«Io
guardo al testo. Anche l’altra fattispecie - “ogni violenza psichica” –
è andata via via evaporando in una sorta di patologica torsione
semantica. Ho sentito una vittima della Diaz parlare di come gli
attacchi di panico siano insorti in lui a due anni dai fatti. Il che
rende del tutto irrealistico il ricorso a quelle formule utilizzate per
qualificare la violenza prima esigendo che fosse verificabile
clinicamente e poi sottoponendola a un’improbabile documentazione.
Circostanza tragicamente ridicola se si tiene conto che i processi per
tortura si celebrano in genere a notevole distanza di tempo dai fatti».
Ma
il ministro per i Rapporti con il Parlamento Finocchiaro dice che in
questo momento politico questa è l’unica legge possibile.
«Questa
legge è destinata a rimanere nel nostro ordinamento ancora per
moltissimi anni, temo. Il dilemma si ripete in continuazione. Meglio una
qualsiasi legge che nessuna legge? Avevo qualche incertezza, e molti
miei amici la pensano come Finocchiaro. Ma la lettera di Miuznieks e la
riflessione su quanto affermato a proposito dei fatti della Diaz mi
inducono a ribadire il mio rifiuto. Posso sbagliarmi, lo so».
Quanto hanno pesato le pressioni, che si sono verificate perfino in Parlamento, dei sindacati di polizia?
«La
classe politica italiana soffre da sempre di una sorta di complesso di
colpa e di un senso di inferiorità nei confronti delle forze di polizia
ed è intellettualmente e politicamente incapace di capire che
l’individuazione e la sanzione severa dei pochissimi appartenenti a quei
corpi che torturano e commettono illegalità è il solo modo per tutelare
la stragrande maggioranza che quegli atti non commette e, dunque, di
salvare il prestigio e, se vogliamo, l’onore della divisa».