martedì 4 luglio 2017

Repubblica 4.7.17
Via alle nuove regole Fino a 15 giorni di carcere anche per chi lo intona ai funerali e negli spot
Niente mano sul cuore e guai a stonare Pechino fa arrestare chi sbaglia l’inno
di Angelo Aquaro

PECHINO. «Qi lai!», cioè «alzatevi, o voi che non volete essere schiavi!». Tenete, però, le mani a posto: altrimenti, se non proprio schiavi, finirete comunque prigionieri, visto che quindici giorni di cella per vilipendio all’inno nazionale non ve li toglierà nessuno.
C’è poco da scherzare in Cina su tante cose: non si scherza col fuoco delle critiche al partito unico, non si scherza se chiedi conto dei diritti umani, non si scherza se ti permetti di tirare in ballo la questione del Tibet e non si scherza, manco a dirlo, a riesumare gli scheletri di Tiananmen. Presto, però, non si potrà neppure più scherzare su quella marcetta che ai tempi anche da noi riscosse una certa fortuna: quando, come canta Giorgio Gaber, «qualcuno era comunista perché ‘Viva Marx, viva Lenin, viva Mao Tse-Tung!’». Sì, oggi Mao lo scriviamo Zedong perché Pechino ha modernizzato la trascrizione latina dei suoi caratteri. Peccato che certe vecchie abitudini non solo resistano ma stiano anzi tornando di moda: per ordine, guarda caso, proprio del nuovo Mao, il potentissimo presidente Xi Jinping che al suo popolo ha indicato, sì, un nuovo “China Dream” come recita il suo slogan – ma sempre, e anzi ancora più, di rosso vestito.
La Marcia dei volontari, conosciuta anche come Qi lai, l’inno composto del 1935 da Ni Er su testo di Tian Han – il drammaturgo poi morto lui stesso nelle prigioni di Mao – sta per essere dunque protetta da una legge allo studio del comitato centrale del congresso nazionale del popolo. Gli articoli? Pochi ma duri, e concepiti per fortificare «il rispetto e la protezione di questo simbolo nazionale». E quindi: niente più inno ai funerali, non sta bene, neppure se la richiesta è stata romanticamente avanzata dallo stesso compagno morituro. E niente più inno usato per spot: perché la pubblicità sarà anche l’anima del commercio, e i consumi formeranno anche il 67% del Pil cinese - che si sta modernizzando pure quello, non più spinto solo dalla spesa di stato – e però no, nel Carosello l’inno proprio non si può. Non è finita. Non tollerati naturalmente i cambi di testo con i giochi di parole, e questo in fondo in fondo si potrebbe capire: ma perché mai sarebbe invece vietato perfino cantare “Qi lai!” portandosi, come si fa con gli inni in tutto il mondo, la mano sul cuore? Ma che domanda: proprio perché così si fa tutto il mondo – a cominciare dagli Stati Uniti d’America. L’ultima iniziativa porta la firma del compagno Chen Guoling, che al Beijing News ha spiegato che la mano sul petto è sì un modo di portare rispetto, ma purtroppo
made in Usa, e importato ahiloro dagli atleti esposti di default al contatto con il resto delle nazioni. Il deputato, che per le offese all’inno deve avere sviluppato un orecchio particolare, su questo proprio non ci sente, e per assicurarsi che la mano dal petto non scivoli pericolosamente altrove, vorrebbe specificare per legge che «i cittadini non devono esibirsi in nessun tipo di postura: incluse quelle straniere, religiose o personali» – definizione, quest’ultima, così vaga, che rischia di sbattere per due settimane in galera anche chi si porta la mano alla bocca per arginare un irrispettoso starnuto.
Ma c’è poco da sorridere. La stretta sull’inno è solo l’ennesima imposta dal nuovo corso, che sa tanto di vecchio, di “Xi il Grande”, che all’estero parla di globalizzazione e in casa di ri-marxizzazione. Prima è arrivato l’invito, diciamo così, a rafforzare l’ideologia comunista, anche «copiando a mano la Costituzione », come se fossimo tornati alle elementari della ideologia. Poi ecco la reintroduzione, nelle situazioni ufficiali, dell’obbligo dell’uso di “compagni”: titolo che aveva perso ormai fascino guadagnando, al contrario, il significato di “gay” nello slang dei più giovani.
Forse anche per questo è arrivato, di rimando, l’invito agli 80 milioni di iscritti al partito di preferire, il giorno del fatidico sì, una compagna o un compagno letteralmente intesi: cioè, con la tessera. E perfino agli stranieri che scelgono la Cina per studiare è imposto, da quest’anno, l’obbligo della storia e dell’ideologia del partito. Come dire: Qi Lai!, alzatevi, o voi che non volete essere schiavi. Tenete, però, le mani a posto: altrimenti, se non proprio in galera, vi risbattiamo a casa vostra.