Repubblica 14.7.17
La dissipazione del centrosinistra
di Claudio Tito
LE
FORZE del centrosinistra vivono troppo spesso di illusioni. La
principale è credere di potersi spaccare, insultare, autodistruggere e
pensare comunque di essere competitive alle elezioni successive.
SI
TRATTA di un abbaglio che si materializza ogni volta che il fronte
progressista arriva al governo. E ogni volta l’Italia si ritrova a fare i
conti con un gruppo di partiti animati dal desiderio di compromettere
il proprio futuro anziché costruirlo. Di tutelare le proprie riserve
minoritarie anziché coltivare le aspirazioni maggioritarie.
Basta
vedere quel che sta accadendo in questi giorni. Non solo il segretario
del Pd, Matteo Renzi, ha scritto un libro con la apparente intenzione di
menare fendenti a destra e a manca anziché provare a ordinare le idee
per una eventuale rivincita elettorale. Ma anche nell’altro pezzo del
centrosinistra, coagulato quasi esclusivamente intorno alla nuova
categoria dell’antirenzismo, riescono solo a dividersi offrendo al loro
elettorato il peggio di se stessi. Giuliano Pisapia che era stato
individuato come il leader della nascente formazione, dopo aver guidato
la manifestazione “fondativa” del primo luglio adesso annuncia che non
si candiderà alle prossime elezioni. Non si tratta di una scelta
improvvisata. Il punto è molto semplice. Anche in quel soggetto la
confusione è totale. La somma di sigle, partitini e movimentini blocca
qualsiasi progetto. Il protagonismo di alcuni vecchi segretari non
poteva che condizionarne e orientarne la crescita. Una formazione che si
è candidata a rappresentare il fronte della sinistra, si scopre già
fiaccata dalle liti interne. E ora anche senza un front-man in grado di
offrire un volto nuovo al suo potenziale bacino elettorale. Pisapia fa
un passo indietro perché non vuole farsi invischiare nelle trame di
D’Alema, nei rancori di Bersani e nei negoziati infiniti tra partitini
che alcune volte a stento arrivano all’1%. Certamente non si tratta di
una scelta definitiva, la strada fino alle elezioni è ancora lunga. L’ex
sindaco di Milano sembra essersi convinto che il percorso verso Palazzo
Chigi è ormai possibile solo al di fuori dei vecchi contenitori. Magari
come soluzione “esterna” alla più che probabile impasse che si
realizzerà dopo le prossime elezioni in cui nessuno risulterà vincente.
Ma al di là delle tattiche, l’immagine che si compone nel centrosinistra
è quella di una ennesima disgregazione.
La situazione non è
diversa nel Partito democratico. Si sta ritrovando a discutere solo
dell’ultima opera libraria del suo leader. Come se tutto potesse o
dovesse ruotare intorno alla sua figura. Renzi sembra attratto da una
sorta di brama da isolamento. Assesta colpi a tutti ma non si capisce
chi siano i suoi alleati: in politica e nella società. Alla ricerca di
un altro referendum su se stesso. Una strategia che oltre a non indicare
una finalità sta provocando una fibrillazione nel suo stesso partito.
La paura non di una scissione ma di una volontaria solitudine del
segretario. L’idea di sospingere tutti i non renziani verso un altro
lido. Una sorta di “predellino” Democratico. Che, però, avrebbe come
specchio la nascita di una sottospecie di nuovo Ulivo. Una strada che
spaccherebbe e indebolirebbe ulteriormente il centrosinistra.
L’Italia
non riesce dunque a uscire dalla sua atipicità. Negli ultimi 23 anni
non è riuscita a diventare un Paese normale. Prima il berlusconismo e
ora il populismo nelle sue varie manifestazioni la affossano in una
eterna transizione. Adesso anche con la complicità inconsapevole delle
forze di centrosinistra.
Eppure la storia democratica insegna che
in una nazione spesso segnata dalle contrapposizioni, i partiti in grado
di conquistare risultati tendenzialmente maggioritari, sono stati
quelli presentatisi ai cittadini come forza unificante. Nel 2014, quando
il Pd ottenne alle elezioni europee il 40,8%, si formò un nuovo blocco
sociale che vide in Renzi una figura aggregante. Quel blocco sociale non
esiste più, si è frammentato come il panorama politico. L’incapacità
del segretario democratico di offrirsi come leader saldante e le
esasperanti divisioni di quel mondo di sinistra che ruota intorno a Mdp
producono allora un solo effetto: portare il centrosinistra alla
sconfitta.
Questa classe dirigente sembra non rendersi conto che
in una fase in cui la società vive ogni discussione sotto la forma della
radicalizzazione, le forze progressiste dovrebbero assumersi il compito
di governare gli estremismi. Avrebbero l’obbligo di non dissipare le
ragioni del centrosinistra per arginare i populismi e — ormai è il caso
di dirlo — il ritorno dei fascismi. Servirebbe una politica innovativa,
europea, moderna. Che non insegua la demagogia del Movimento 5Stelle da
una parte e non si abbandoni ai modelli del passato dall’altra.
Servirebbe senso di responsabilità e spirito di coalizione. Due qualità
al momento del tutto assenti. Due deficit che nel 2018 rischiano di
trasformare l’Italia nell’unico dei grandi paesi europei in mano ai
populisti.