venerdì 14 luglio 2017

Il Fatto 14.7.17
Orlando “prigioniero” nel Pd ma mezzo partito è in fuga
Il ministro rafforza l’asse con Prodi e Pisapia ma nega nuove scissioni
Il professore si dice “allibito” per le parole di Renzi su Letta
di Tommaso Rodano

Orlando non si muove, gli orlandiani forse sì. Nei corridoi dei palazzi si rincorrono voci di un’imminente diaspora dei parlamentari della minoranza, in transito verso il gruppo di Bersani e compagni. Alcuni autorevoli rappresentanti della nuova corrente del Guardasigilli (Democrazia e Società) smentiscono, e lo stesso Andrea Orlando fa sapere di non avere intenzione di “dividere il Pd”, ma semmai di “unire il centrosinistra”. Come fare, con Renzi al comando, rimane un mistero.
Mercoledì sera il ministro è stato immortalato alla presentazione di un libro a Bologna insieme a Romano Prodi e Giuliano Pisapia. Orlando vuole “scommettere” sull’ex sindaco di Milano e sul professore – come ha spiegato ieri – “perché penso che Pisapia oggi, con Prodi e pochi altri, si attiene al principio di realtà”. Per usare l’ormai abusatissima metafora prodiana, la tenda dei tre neoulivisti è piantata in un posto sempre più lontano dal Pd renziano. Un retroscena dell’Ansa, peraltro, descrive Prodi come “allibito” dai passaggi più offensivi del libro del segretario Pd su Enrico Letta.
Orlando comunque fa sapere di non aver alcuna intenzione di uscire dal partito. Al massimo potrebbero farlo, individualmente e senza la sua benedizione, alcuni parlamentari della sua area. Orlando non è in grado di garantire a tutti i suoi onorevoli (più di una trentina) la ricandidatura a Montecitorio o Palazzo Madama per la prossima legislatura. Per questo alcuni di loro sono tentati dalla migrazione verso Articolo 1. Qualche deputato orlandiano denuncia lo “scouting” degli ex compagni fuoriusciti dal Pd che “di certo danneggia ogni ipotesi di centrosinistra”. Mdp resta con le braccia spalancate per accogliere nuovi arrivi, ma i bersaniani fanno sapere che per adesso non si muove nulla.
Questo per quanto riguarda i palazzi, perché nei territori la fuga dei dirigenti locali dal Pd è un dato di fatto. Quello che Graziano Delrio aveva definito un “buco nella diga” si sta trasformando in un’autentica voragine. Lo riconoscono anche gli orlandiani. Si rincorrono i termini “diaspora”, “flusso continuo”, “abbandono”.
La lista di consiglieri, assessori e quadri locali che hanno lasciato il Pd renziano è in continuo aggiornamento. A Lecce la scorsa settimana è stata registrata una fuga di massa: 103 dirigenti passati in blocco dal Partito democratico ad Articolo 1.
L’elenco della campagna acquisti bersaniana da Nord a Sud è piuttosto impressionante: un consigliere regionale in Friuli Venezia Giulia, due consiglieri comunali a Milano, due consiglieri regionali in Lombardia, e altri ancora in Emilia Romagna, Toscana, Lazio. Nelle Marche è l’ex capogruppo del Pd Gianluca Busilacchi ad aver abbracciato Roberto Speranza e il partito dei fuoriusciti. A Massa – come scrive l’Huffington Post – hanno lasciato il Pd per Articolo 1 il segretario comunale Adriano Tongiani, il vicesindaco Uilian Berti e quattro consiglieri comunali.
In alcuni piccoli centri si è trasferito l’intero gruppo dirigente: come a Melito, a nord di Napoli, dove tutti i 7 consiglieri comunali del Pd hanno cambiato bandiera. O a Fiano Romano, dove se n’è andato dai dem il sindaco Ottorino Ferilli (fratello dell’attrice Sabrina) insieme alla storica sezione rossa della città. La diaspora è un po’ ovunque, anche a Pavia, Modena, Potenza, Napoli.
In attesa dei dirigenti nazionali, insomma, si sono già spostati i quadri locali. Al Nazareno le minoranze prendono tempo.
Michele Emiliano si è garantito il “franchising” del marchio Pd nella sua Puglia, e un’influenza crescente al Sud in generale (“Nessun accordo sottobanco, è naturale che sia così visto che ho i voti” ha detto al Fatto domenica). Orlando apre a Pisapia, parla di centrosinistra e aspetta tempi migliori .