Corriere 14.7.17
Africa La crescita della popolazione «Raddoppierà in trent’anni»
«Saranno 2,5 miliardi». Problema o risorsa? L’Europa preoccupata
di Michele Farina
Problema
o vantaggio, la crescita demografica africana? All’ultimo G20 di
Amburgo, Emmanuel Macron ha detto che «l’Africa ha avuto problemi di
civilizzazione», e che parte della sfida attuale è costituita da quei
Paesi dove «si continuano ad avere sette-otto figli per donna». C’è chi
ha bollato queste parole come «razziste», riflesso della vecchia
mentalità del colonialismo francese. Ma l’altro giorno anche la
Danimarca, che non passa per Paese colonizzatore, ha annunciato che
accrescerà i fondi per il controllo delle nascite nei Paesi in via di
sviluppo. La ministra per la Cooperazione, Ulla Tornaes, ha detto che
225 milioni di donne nei Paesi più poveri non hanno accesso a strumenti
di «family planning». E riferendosi all’Africa in una conferenza a
Londra, ha parlato delle misure per la riduzione della natalità come di
«una priorità della politica estera e di sicurezza danese». Se
continuano a nascere bambini con i tassi attuali, ha detto Ulla
allarmata, «la popolazione africana raddoppierà fino a raggiungere i 2,5
miliardi di persone entro il 2050». Contribuire a una frenata delle
nascite sotto il Mediterraneo, per il governo di Copenaghen, «aiuterebbe
anche a limitare la pressione migratoria sull’Europa».
Meno
bambini, più crescita economica, meno migranti? È una formula troppo
semplificata per essere risolutiva. È innegabile che si debba parlare di
esplosione demografica. Nella lista mondiale dei Paesi dove si fanno
più figli, i primi 15 sono tutti africani. Sono 26 le nazioni del
continente che nel giro dei prossimi trent’anni vedranno raddoppiata la
propria popolazione. Secondo le proiezioni delle Nazioni Unite, alla
fine del secolo metà dei bambini del mondo (sotto i 14 anni) saranno
africani.
Numeri impressionanti. Che non impressionano Mario Giro,
viceministro degli Esteri italiano con delega alla Cooperazione
internazionale: «La crescita demografica è dovuta allo sviluppo che c’è
stato e che continua a esserci, e ce ne dobbiamo rallegrare — dice Giro
al Corriere —. E comunque tutti i Paesi africani, Nigeria a parte, sono
oggi sottopopolati. L’Africa avrà un quarto della popolazione mondiale,
come aveva prima della tratta, soltanto intorno al 2050».
La
tratta degli schiavi, e tutta la storia che si è succeduta — dice il
viceministro — «hanno finito per spopolare il continente». Rispetto alla
densità demografica europea, «l’Africa ha enormi territori disabitati: è
l’unico continente che abbia nuova terra arabile». Eppure proprio
l’agricoltura sta subendo le conseguenze più terribili del cambiamento
climatico, con la peggior siccità degli ultimi 20 anni: «È questa sfida
che porta la popolazione a spostarsi da certe zone aride verso le
città».
Più della metà degli africani vivono oggi nelle città.
Bamaiyi Guche, 17 anni, secondo l’ Economist è il tipico giovane
imprenditore africano. Al mattino va a scuola. E al pomeriggio vende
sacchettini di acqua potabile nelle strade assolate, portando a casa un
dollaro al giorno, metà del quale va in tasse scolastiche. Vuole
diventare dottore, non calciatore. Ci riuscirà nel suo Paese?
La
Nigeria è il gigante d’Africa. La prima economia per prodotto interno
lordo, 180 milioni di abitanti che diventeranno 410 milioni nel 2050,
quando sarà il terzo Paese più abitato al mondo, dopo India e Cina. I
tassi di natalità sono scesi da 6,5 figli per donna nel 1990 a 5,6 nel
2014. Come il resto del continente, la Nigeria ha sofferto la frenata
dell’economia: per la prima volta da vent’anni a questa parte, il pil
pro capite è diminuito. Complessivamente, il pil africano è crollato nel
2016 fino a toccare un magro +1,4% (la metà del tasso di crescita
demografica).
Le stime puntano a un +2,6% per il 2017 (comunque la
metà rispetto a cinque anni fa). Dei migranti sbarcati in Italia nel
2017, la Nigeria è il primo Paese di provenienza (15%). Se l’Europa (e
l’Italia) vogliono aiutare i ragazzi come Bamaiyi Guche a diventare
dottori «a casa loro», non basterà ridurre il numero dei loro
fratellini.