La Stampa 14.7.17
Vincolo dei tre mandati nelle candidature Pd
Renzi pressato per una pioggia di deroghe
“È
un problema applicare la regola”, si lascia scappare con i suoi
Confermare tutti i big può servire a evitare una nuova scissione
di Francesca Schianchi
«E
poi, pure la regola del terzo mandato, è un problema applicarla…». È
nel mezzo di una conversazione con i suoi, che il segretario del Pd
Matteo Renzi lascia cadere quella frase. Gira la voce di una possibile
nuova scissione, malesseri nel partito sono all’ordine del giorno, un
ruolo fondamentale nel decidere la futura convivenza dei dem ce l’avrà,
inutile negarlo, la linea che il segretario adotterà sulle candidature,
con la rappresentanza che vorrà garantire alle minoranze nel prossimo
Parlamento. Tra i renziani sono convinti che non ci sia un rischio vero,
credono che né il leader sconfitto alle primarie Andrea Orlando né il
ministro critico Dario Franceschini abbiano la forza di promuovere
un’altra uscita dal Pd: ma per mettersi al sicuro, la soluzione potrebbe
risiedere in quella frase detta da Renzi, quel richiamo al limite dei
tre mandati che fino a pochi giorni fa voleva applicare rigidamente, e
che invece dice oggi potrebbe essere «un problema». Un’imprevedibile,
cauta apertura a una manica larga sulle deroghe aprirebbe spazi di
rappresentanza anche alle minoranze, frenando spinte centrifughe verso
la creazione di un nuovo partito.
Per far capire quanto difficile
sarebbe applicare la regola dello Statuto del Pd secondo cui chi ha già
svolto tre mandati non ha diritto alla ricandidatura (salvo deroga
concessa dalla Direzione), Renzi con i suoi ha fatto qualche nome: Paolo
Gentiloni ad esempio, il premier in carica, è alla quarta legislatura
ma è ovvio che avrà ancora posto nelle liste Pd. O il ministro
dell’Interno Marco Minniti, uno dei volti più attivi del governo, è già
alla quarta legislatura anche lui, ma che fai – ha spiegato l’ex premier
– non lo candidi? Naturalmente il principio della figura troppo
importante per non riportarla in Parlamento tocca anche le minoranze – a
cominciare dal ministro della giustizia Orlando, che pure è giunto al
terzo mandato – o a chi è voce critica in maggioranza, come il ministro
della cultura Franceschini, che pure siede in Parlamento dal 2006. Sono
tanti i nomi che hanno ormai ammucchiato un certo numero di legislature:
da Anna Finocchiaro (ben otto) a Gianni Cuperlo, che ne ha fatte tre,
da Ugo Sposetti (cinque) a Cesare Damiano, giunto alla terza. Ecco,
forse la foga renziana di cambiamento potrebbe trovare un equilibrio
nella necessità di accontentare altre aree del partito. Tenendo ben
saldo il comando ma avendo la possibilità di ribattere a chi parla di
“partito di Renzi”: ma come, se ho concesso tutte queste deroghe?
Cosa
voglia dire, però, è ancora da chiarire. Gli unici posti sicuri sono
quelli dei capilista alla Camera: difficile, ha obiettato qualcuno al
segretario, che voglia regalarne una parte significativa alle minoranze.
«Ma siamo sicuri che qualcosa non cambierà a settembre nella legge
elettorale?», è stata la risposta sibillina, come se si aspettasse di
vedere uscire dal dibattito in Parlamento, se alla fine dell’estate ci
si tornerà finalmente sopra, novità destinate ad ampliare la platea
degli eletti sicuri. Si vedrà. Ma le deroghe potrebbero essere anche
concesse per un percorso diverso: candidarsi con le preferenze al
Senato. Vorrebbe dire permettere di correre a chi teoricamente sarebbe
fuori, ottenendone in cambio, se si tratta di “big” con tante
preferenze, voti a tutto vantaggio del partito. «È ancora presto per
parlarne, si vedrà quando sarà il momento», taglia corto il fedelissimo
renziano Lorenzo Guerini. Ma il momento è fra non molto. E in tanti già
si cominciano ad agitare.