La Stampa 7.7.17
Minoranza dem maltrattata
Ma il ribaltone non è possibile
di Marcello Sorgi
Alla
direzione del Pd in cui si doveva discutere del magro risultato
elettorale del centrosinistra nel primo appuntamento con le urne dopo il
congresso, Renzi ha maltrattato la minoranza capeggiata dal ministro di
Giustizia Orlando e ha avuto parole dure anche per quello della Cultura
Franceschini, formalmente, ma solo formalmente ormai, suo principale
alleato congressuale, ma di fatto collocatosi a metà tra maggioranza e
minoranza.
Se esistessero ancora i partiti e se il Pd non fosse
ormai una sorta di comitato elettorale renziano, si sarebbe potuto dire
che dopo la sconfitta dell’11 giugno, si stanno creando le condizioni
per un ribaltone della segreteria. Ma non è così. Sia nella relazione
che nella replica (quest’ultima molto più dura) Renzi ha ricordato a
tutti che è stato appena eletto in una tornata di primarie a cui hanno
partecipato quasi due milioni di elettori: ed è a loro, non ai
capicorrente, che il segretario intende rispondere, mobilitandoli
personalmente per la nuova campagna elettorale, e soprattutto
scegliendosi i candidati al di fuori della spartizione percentuale
adoperata le volte precedenti, e a mala pena mascherata l’ultima volta
con una finta tornata di “parlamentarie”.
Quanto alle alleanze,
all’Ulivo e all’Unione, che in verità sono stati evocati come spettri
anche da quelli che li considerano ancora una prospettiva possibile,
Renzi, ormai proiettato in una logica proporzionale, ragiona solo in
termini di Pd, farà la campagna per il Pd, è convinto che il Pd alle
politiche possa rimontare, e i conti veri vuol farli solo alla fine. Non
perché tenga nascosta la carta di un nuovo accordo di governo con
Berlusconi, che ha esplicitamente smentito, ma perché punta a far
arrivare primo il suo partito per poter dare le carte dopo il voto.
Pur
condiviso dalla maggioranza renziana blindata della direzione (e
Franceschini, benché in dissenso, ha evitato di contarsi e ha votato
insieme ai suoi la relazione), un programma del genere spaventa. Anche
nelle file renziane, insomma, ci si chiede cosa succederebbe se la presa
elettorale di Renzi, com’è già accaduto dal referendum costituzionale
in poi, dovesse rivelarsi meno forte del previsto e, dopo essersi
tagliato tutti i ponti alle spalle, il Pd si ritrovasse all’indomani
delle elezioni senza un piano B e soprattutto con la concreta
possibilità di finire all’opposizione, in mancanza di alleanze e in
presenza di un centrodestra tornato in buona salute. Per questo, la
direzione di ieri, come tutte quelle da tre anni a questa parte, avrà
sicuramente un secondo tempo.