La Stampa 6.7.17
Charlie
La sentenza sul dolore del piccolo
di Carlo Rimini
Ordinario di diritto privato nell’Università di Milano
Di
fronte a due genitori che lottano disperatamente per tenere il loro
bambino in vita e sono impotenti di fronte alla decisione dell’ospedale
in cui il piccolo è ricoverato di iniziare le operazioni che lo
porteranno alla morte, si prova un senso di vertigine. I fatti sono
descritti in modo molto dettagliato, quasi puntiglioso, dalle sentenze
inglesi che hanno deciso che le cure devono essere interrotte.
I
punti fermi sono questi. a) L’ospedale in cui il piccolo Charlie è
ricoverato, rispettando le rigorose procedure inglesi previste per
questi casi, ha deciso che continuare a curare il bambino è una forma di
accanimento terapeutico poiché non vi è più alcuna possibilità di
tenerlo in vita o comunque di riportarlo ad una vita consapevole. b) I
genitori ritengono invece che possa essere tentata una cura sperimentale
praticata in un ospedale americano dove il bambino potrebbe essere
trasferito. c) I medici americani hanno confermato ai giudici che la
cura sperimentale non è mai stata tentata su pazienti nelle condizioni
di Charlie e molto probabilmente non avrà su di lui alcun effetto e
comunque non potrà riparare i danni cerebrali già subiti, ma si può
comunque tentare poiché certo non aggraverà la situazione.
Le
regole giuridiche per affrontare una situazione così drammatica sono
semplici. Sono uguali in Inghilterra ed in ogni Stato civile. a) Sono i
genitori a fare le scelte relative al figlio e ciò fino a che la
responsabilità genitoriale non è limitata da un giudice; b) L’autorità
giudiziaria può limitare la responsabilità genitoriale solo se i
genitori prendono decisioni pregiudizievoli per il figlio. Questo
significa che solo di fronte alla prova che una decisione crea un
pregiudizio, la responsabilità genitoriale può essere limitata e
l’autorità giudiziaria si sostituisce al genitore nella valutazione del
migliore interesse del bambino.
La frase chiave della sentenza
inglese è quindi questa: «I medici dell’ospedale che ha in cura il
bambino non escludono che egli possa provare dolore». È la questione
dirimente perché se Charlie prova dolore allora è vero che i genitori
vogliono inutilmente prolungare la sua sofferenza ed è vero che vogliono
compiere un atto (cercare di farlo sopravvivere) che porta al bambino
un pregiudizio (una sofferenza inutile). Se invece il fatto che possa
provare dolore è una mera ipotesi improbabile (come è improbabile che la
terapia alternativa gli giovi), allora la limitazione della
responsabilità genitoriale è ingiustificata. Di fronte a una semplice
ipotesi - «non escludono che possa provare dolore» - rimane una
sensazione: è un accanimento giudiziario. È il loro bambino e sta
morendo: lasciate loro almeno la libertà di sbagliare.