Il Fatto 6.7.17
La legge sbagliata che uccide le donne
di Nicola Ferri
Di
fronte all’ennesimo femminicidio – la dottoressa di Martinsicuro, Ester
Pasqualoni, uccisa a colpi di pugnale dal suo stalker Enrico Di Luca,
poi suicidatosi – sorge spontanea la domanda: cosa si può fare per
prevenire nuovi agguati mortali, visto che neanche stavolta il
meccanismo della prevenzione è servito a evitare che la vittima
designata cadesse in preda della cieca violenza omicida?
Per
questo interrogativo c’è una prima risposta: le decine di donne che ogni
anno muoiono sotto i colpi assassini di mariti, compagni, fidanzati,
amanti o loro ex, sono vittime non solo di una cultura da trogloditi che
esalta la concezione “proprietaria” della donna amata vista dall’uomo,
accecato dalla gelosia, come un “bene” esclusivo da non perdere, ma
altresì di una legge sbagliata che non appresta efficaci strumenti
preventivi e repressivi e che, di fronte a gravi minacce in atto (nel 90
per cento sono i prodromi dell’omicidio) prevede misure del tutto
insufficienti a elidere o attenuare il pericolo.
Al riguardo, il
caso Pasqualoni è esemplare poiché vani erano rimasti sia l’ammonimento
di non avvicinarsi alla dottoressa intimato a Di Luca dal questore, sia
il sequestro del porto d’armi, misure contenute della legge antiviolenza
n. 119/2013 che prevede altresì l’allontanamento urgente della donna
dalla casa familiare e l’arresto dell’uomo violento solo in caso di
flagranza, difficilissima da riscontrare, mentre sarebbe necessario
consentire l’arresto anche in caso di “flagranza protratta” (36 ore).
Se
Ester fosse stata immediatamente messa sotto protezione in un luogo
sicuro e scortata sul lavoro, e se Di Luca fosse stato arrestato,
processato per direttissima, condannato senza condizionale e rinchiuso
in carcere, salvo l’eventuale accertamento della sua infermità mentale
(è scientificamente provato che il “delirio di gelosia” è un chiaro
sintomo di incapacità di intendere e di volere che rende il soggetto un
malato pericoloso da tenere sotto custodia), quasi certamente la
dottoressa di Martinsicuro sarebbe ancora viva.
La seconda risposta alla domanda sul “che fare ?” è la seguente:
1)
Occorre attuare quella rete di efficace protezione delle vittime delle
minacce e degli atti di violenza imposta dalla Convenzione del Consiglio
d’Europa dell’11 maggio 2011 e per la cui mancata adozione l’Italia è
stata condannata dalla Corte europea di Strasburgo con la sentenza 2
marzo 2017;
2) Va rovesciata la logica che informa la legge n.
119/2013 (che non funziona, visto che i femminicidi non diminuiscono)
prevedendo che non sia l’uomo bensì la donna minacciata che va
immediatamente allontanata e posta a distanza di sicurezza dal suo
persecutore poichè questi, di solito, se ne infischia del divieto di
avvicinarsi alla casa familiare.
Se è vero che dietro la maschera
dello stalker si nasconde quasi sempre un sanguinario criminale, le
misure preventive e restrittive nei suoi confronti dovranno
inevitabilmente essere commisurate al rischio mortale che incombe sulla
donna minacciata.