giovedì 6 luglio 2017

Il Fatto 6.7.17
La legge sbagliata che uccide le donne
di Nicola Ferri

Di fronte all’ennesimo femminicidio – la dottoressa di Martinsicuro, Ester Pasqualoni, uccisa a colpi di pugnale dal suo stalker Enrico Di Luca, poi suicidatosi – sorge spontanea la domanda: cosa si può fare per prevenire nuovi agguati mortali, visto che neanche stavolta il meccanismo della prevenzione è servito a evitare che la vittima designata cadesse in preda della cieca violenza omicida?
Per questo interrogativo c’è una prima risposta: le decine di donne che ogni anno muoiono sotto i colpi assassini di mariti, compagni, fidanzati, amanti o loro ex, sono vittime non solo di una cultura da trogloditi che esalta la concezione “proprietaria” della donna amata vista dall’uomo, accecato dalla gelosia, come un “bene” esclusivo da non perdere, ma altresì di una legge sbagliata che non appresta efficaci strumenti preventivi e repressivi e che, di fronte a gravi minacce in atto (nel 90 per cento sono i prodromi dell’omicidio) prevede misure del tutto insufficienti a elidere o attenuare il pericolo.
Al riguardo, il caso Pasqualoni è esemplare poiché vani erano rimasti sia l’ammonimento di non avvicinarsi alla dottoressa intimato a Di Luca dal questore, sia il sequestro del porto d’armi, misure contenute della legge antiviolenza n. 119/2013 che prevede altresì l’allontanamento urgente della donna dalla casa familiare e l’arresto dell’uomo violento solo in caso di flagranza, difficilissima da riscontrare, mentre sarebbe necessario consentire l’arresto anche in caso di “flagranza protratta” (36 ore).
Se Ester fosse stata immediatamente messa sotto protezione in un luogo sicuro e scortata sul lavoro, e se Di Luca fosse stato arrestato, processato per direttissima, condannato senza condizionale e rinchiuso in carcere, salvo l’eventuale accertamento della sua infermità mentale (è scientificamente provato che il “delirio di gelosia” è un chiaro sintomo di incapacità di intendere e di volere che rende il soggetto un malato pericoloso da tenere sotto custodia), quasi certamente la dottoressa di Martinsicuro sarebbe ancora viva.
La seconda risposta alla domanda sul “che fare ?” è la seguente:
1) Occorre attuare quella rete di efficace protezione delle vittime delle minacce e degli atti di violenza imposta dalla Convenzione del Consiglio d’Europa dell’11 maggio 2011 e per la cui mancata adozione l’Italia è stata condannata dalla Corte europea di Strasburgo con la sentenza 2 marzo 2017;
2) Va rovesciata la logica che informa la legge n. 119/2013 (che non funziona, visto che i femminicidi non diminuiscono) prevedendo che non sia l’uomo bensì la donna minacciata che va immediatamente allontanata e posta a distanza di sicurezza dal suo persecutore poichè questi, di solito, se ne infischia del divieto di avvicinarsi alla casa familiare.
Se è vero che dietro la maschera dello stalker si nasconde quasi sempre un sanguinario criminale, le misure preventive e restrittive nei suoi confronti dovranno inevitabilmente essere commisurate al rischio mortale che incombe sulla donna minacciata.