La Stampa 13.7.17
L’urgenza di un’agenzia della ricerca
di Elena Cattaneo
docente alla Statale di Milano
Senatrice a vita
Caro direttore,
nel nostro Paese la ricerca non è mai stata una priorità e ciò ha causato gravissime disfunzioni al sistema.
Gli
impegni di premier e ministri non si sono mai concretizzati in un
riordino del sistema della ricerca pubblica, né in un ripensamento del
modello di erogazione dei fondi a essa destinati. Nell’ottobre 2014 la
Commissione ricerca del Senato individuava nella riduzione delle risorse
e nella mancanza di una strategia coordinata le principali criticità
del sistema pubblico della ricerca. Sul fronte risorse si chiedeva al
governo l’impegno a varare un piano pluriennale di rifinanziamento per
centrare gli obiettivi europei per il 2020. Sul piano dell’efficienza si
suggeriva di creare un’Agenzia della ricerca, per evitare la
frammentazione, coordinare le scelte e garantire l’indipendenza della
ricerca e dei suoi apparati dalla pubblica amministrazione e dal
decisore politico.
La richiesta di un’Agenzia non è una novità. Il
motivo è semplice: le risorse pubbliche che l’Italia stanzia per la
ricerca scientifica, oltre ad essere «briciole», sono parcellizzate e
spalmate su diversi ministeri. Inoltre – con rare eccezioni - non
perseguono obiettivi strategici comuni, né adottano gli stessi criteri
di merito o di valutazione.
Non si può più andare avanti così. Non
è previsto dall’etica pubblica liberale che un ministero
(legittimamente) decida di assegnare i soldi della ricerca a un proprio
ente il quale poi, senza alcun bando, negozia arbitrariamente le
erogazioni con i beneficiari. Né si possono tollerare i meccanismi «a
sportello», dove lo studioso si reca presso il ministero in qualsiasi
momento dell’anno per farsi finanziare. In alcuni casi i bandi ancora
esistono ma, dopo anni di carestia, le domande sono in numero tale da
rendere la valutazione una lotteria. La bocciatura raggiunge fino al 90%
delle proposte, con giudizi a volte poco pertinenti e il finanziamento,
laddove arriva, risibile. Senza dimenticare i casi - di cui sono stata
testimone oltre 15 anni fa e che ho denunciato - in cui il bando esiste,
ma la Commissione di valutazione decide di finanziare i suoi
componenti. Poi ci sono le erogazioni via «phone calls» invece che con
«public calls». E pure le norme «ad ricercatore» che assegnano milioni
ad una singola sperimentazione clinica, con specifiche cellule, per una
specifica malattia. Così come è la regola osservare assegnazioni «ad
hoc», nella legge di stabilità, a chi tira di più la giacchetta,
fondazione o ospedale che sia. Infine, il caso tragico di Human
Technopole, grande infrastruttura di ricerca, per la cui realizzazione
il governo aveva previsto (poi rimediando all’errore iniziale) di
assegnare progetto e risorse in modo discriminatorio a un Ente
arbitrariamente prescelto. Queste modalità sono deleterie per il Paese
perché producono spartizione clientelare dei fondi pubblici, nonché file
di questuanti che barattano libertà e terzietà del ricercatore. Questa
condizione è forse la più profonda causa della fuga dei giovani
studiosi, che diffidano di un sistema che non finanzia sulla base di
idee e competenze, cui potrebbero competere alla pari, ma sulla
prossimità ad uno dei tanti poteri.
Riaffermare oggi l’urgenza di
un’Agenzia nel nostro Paese è necessario soprattutto in vista di una
nuova e prossima iniezione di liquidità nel sistema, prospettata
recentemente dal Miur, attraverso la restituzione, voluta e ottenuta
dalla ministra Fedeli, alla ricerca italiana di 250 milioni di euro
(parte del tesoretto di risorse pubbliche accantonate dall’Istituto
italiano di tecnologia).
L’Agenzia altro non sarebbe che un
organismo composto da persone esposte a controlli incrociati,
indipendenti dalla politica e dalla comunità degli studiosi, che
sviluppino e replichino procedure disegnate sugli obiettivi e svolgano
un ruolo terzo, trasparente e competente nel controllo dell’erogazione
di fondi, così da rimuovere frammentazione ed eterogeneità di scopi, con
garanzia di date certe di avvio e chiusura di bandi pubblici, aperti,
competitivi.
Ormai siamo pressoché l’unico Paese in Europa a non
averla. Intorno a noi ci sono esperienze di successo in Francia,
Germania, Svizzera e Spagna. Nessuno è tornato indietro. Anzi,
l’efficienza di un tale modello come volano dello sviluppo economico è
testimoniato dall’Agenzia ellenica per la ricerca e l’innovazione varata
lo scorso febbraio dal Parlamento greco, per la cui realizzazione la
Banca europea degli investimenti ha erogato 180 milioni a cui se ne
aggiungono 60 dal governo greco, cifra che coprirà i primi due anni e
mezzo di lavoro.
Non so quanta parte della comunità accademica e
scientifica desideri spogliare il decisore politico della possibilità di
orientare buona parte dei finanziamenti. Né quanto la politica sia
pronta a farlo. Quel che è certo è che le generazioni future
ringrazieranno chi avrà il coraggio, oggi, di intraprendere scelte
lungimiranti e di avviare un processo in controtendenza all’inerzia cui
ci hanno condannato molti governi del passato.