La Stampa 12.7.17
I miti del fascismo vulnus nazionale
di Amedeo Osti Guerrazzi
È
necessaria una legge contro l’apologia del fascismo? Si tratta di una
legge contro la libertà di pensiero e di parola? E soprattutto, il
fascismo è veramente morto nell’opinione e nella memoria degli italiani?
E’
opinione diffusa tra gli storici che la memoria italiana sia una
memoria «divisa», oppure «frammentata». Non esiste praticamente
argomento della storia di questo paese che non sia oggetto di continui
dibattiti e polemiche, spesso utilizzati anche dai politici per bassi
motivi elettorali. La storia recente, ovviamente, ed il fascismo in
particolare, sono gli argomenti che ancora oggi più appassionano gli
italiani. Basti vedere l’enorme numero di volumi, storici, pseudo
storici o alle volte puramente scandalistici, che intasano gli scaffali
delle librerie. Il reparto «Storia contemporanea» è costantemente
inondato di libri su Mussolini ed il fascismo.
Il regime, insomma,
fa ancora cassetta, vende, permette visibilità, anche se questa ingente
produzione letteraria va spesso a scapito delle scienze storiche e
della memoria pubblica, influenzata facilmente da chi le spara più
grosse.
I miti, le leggende, le grossolane falsificazioni, vengono
riprese periodicamente da storici improvvisati che promettono di
rivelare «la vera verità», o le «verità nascoste» dalla storiografia
«ufficiale».
Gli esempi sono numerosissimi. Chi non ha mai sentito
parlare, ad esempio, delle leggende che si sono accumulate sulla strage
delle Fosse Ardeatine? Le supposte «contro verità» su questo doloroso
argomento parlano di una congiura dei partigiani comunisti che avrebbero
attaccato i tedeschi per poi scappare senza successivamente
costituirsi, in modo da evitare la rappresaglia. Anzi, la rappresaglia
stessa sarebbe stata volutamente cercata dai comunisti per far uccidere
gli ostaggi già in mano ai nazisti. Si tratta di una grossolana
falsificazione, smentita dagli stessi protagonisti della rappresaglia
(Kesselring e Kappler) durante i loro processi, ma nonostante ciò la
leggenda del complotto comunista è tutt’ora viva.
Un altro esempio
particolarmente evidente è il mito dei trecentomila fascisti uccisi
dopo la fine della guerra. Quanti libri sono usciti che parlano di ciò
che è «veramente avvenuto» dopo il 25 aprile? Eppure anche qui si tratta
di una evidente, e grossolana, invenzione. Prima di tutto bisogna
ricordare che la guerra in Italia non è finita il 25 aprile (data
dell’inizio dell’insurrezione), ma il 2 maggio, quando i tedeschi hanno
firmato la resa per il fronte italiano. In quella tragica settimana le
armi non solo non hanno taciuto, ma i nazifascisti in ritirata hanno
continuato a combattere compiendo le ultime stragi di civili. E’ ovvio
che numerosissimi fascisti, ancora in armi, siano stati uccisi in quei
giorni sanguinosi. Nonostante i numerosi lavori scientifici
sull’argomento, che hanno ricostruito date e soprattutto numeri (i
fascisti uccisi durante l’epurazione selvaggia della primavera del ’45
furono circa 10.000, un numero altissimo di vite umane spezzate, ma
certo diverso da 300.000), il mito del bagno di sangue ordito e
perpetrato dai comunisti continua ad essere diffuso e popolare.
Un
altro esempio: la leggenda della Repubblica Sociale Italiana voluta da
Mussolini per fare da «scudo» agli italiani contro la vendetta tedesca
dopo l’armistizio dell’otto settembre 1943. Mentre l’ex duce si stava
«sacrificando sull’altare della storia», spingendo per la pacificazione
tra italiani, i cattivissimi partigiani avrebbero volutamente scatenato
la guerra civile spingendo il Paese nella tragedia. Di nuovo si tratta
di una bellissima storia, priva tuttavia di qualunque prova scientifica,
mentre chiunque abbia un minimo a che fare con le fonti d’archivio e i
libri più seri può serenamente smentire ogni intento «pacificatore» del
fascismo repubblicano.
Ma allora perché queste leggende tornano
periodicamente sulla scena mediatica? I motivi sono veramente tanti: la
volontà di scandalizzare la memoria «ufficiale», e quindi finire sui
giornali, vendere libri, ottenere visibilità. Ma la colpa è anche di
numerosi storici, che hanno utilizzato in maniera totalmente acritica le
memorie pubblicate dai fascisti stessi dopo la guerra. Subito dopo il
1945, moltissimi ex collaboratori di Mussolini hanno scritto e
pubblicato i loro libri di memorie, che ovviamente tendevano a
difendere, oltre che la loro vicenda personale, l’esperienza storica del
fascismo. Queste memorie sono state troppo spesso utilizzate in maniera
acritica anche dagli storici professionisti, con il risultato che la
guerra della memoria, iniziata subito dopo il 1945, ha visto spesso
vincere proprio i fascisti. Il risultato è stato che miti e leggende sul
fascismo sono state a volte traghettate nella storiografia scientifica,
dando una patente di plausibilità anche alle teorie più strampalate.
Con questo non si vuole assolutamente affermare che esiste una storia
«vera» e una storia «falsa», e ogni memoria ha la sua dignità. Ma una
cosa è la memoria, che come le opinioni può essere più o meno condivisa,
un’altra è la conoscenza scientifica, che pur sempre in evoluzione,
dovrebbe basarsi almeno su delle fonti e dei criteri condivisi.
E
tutto questo non è innocuo, ma è la base «storica» e «scientifica» per
attaccare e delegittimare la Resistenza e la Repubblica, che da quella
guerra civile è nata. E’ un pericolo vero, più concreto di quanto
normalmente si pensi. Il risultato di questa confusione lo si vede
quotidianamente anche sui social media, colmi di siti web e di blog che
inneggiano al fascismo, alla violenza, alla negazione di tutti quei
valori che l’antifascismo, con tutte le sue contraddizioni, ha saputo
incarnare e difendere, garantendo la libertà e la democrazia nel nostro
Paese. Una legge che non attacchi le opinioni, ma che difenda almeno la
conoscenza appare quindi, in questo contesto, opportuna e necessaria.