La Stampa 11.7.17
Cucchi, a giudizio i carabinieri
Tre sono accusati di omicidio
di Edoardo Izzo
Il
giorno della verità è più vicino. E se da un lato la vita di Stefano
Cucchi è ormai perduta per sempre, dall’altro la sua famiglia spera,
dopo 8 anni, di avere un po’ di giustizia. Andranno infatti a processo
il prossimo 13 ottobre i cinque carabinieri: Alessio Di Bernardo,
Raffaele D’Alessandro, Francesco Tedesco (che rispondono di omicidio
preterintenzionale), Roberto Mandolini e Vincenzo Nicolardi (che
rispondono di falso e calunnia il primo, e solo di calunnia il secondo).
«Finalmente i colpevoli della morte di mio fratello Stefano saranno
costretti a rispondere di quanto commesso. Non potranno più nascondersi
dietro la divisa dell’Arma», ha commentato commossa la sorella di
Stefano, Ilaria Cucchi.
Le carte dell’inchiesta Cucchi bis
raccontano una realtà amara: Stefano sarebbe morto per mano di quei tre
carabinieri che nella notte tra il 15 ed il 16 ottobre 2009 - dopo
averlo fermato per un controllo - lo picchiarono selvaggiamente «con
schiaffi, calci e pugni», provocando esiti permanenti. Nei referti
medici si parla di tumefazioni ed ecchimosi alle guance e alla fronte,
ecchimosi al cuoio capelluto di diverse entità, frattura della terza
vertebra lombare e frattura scomposta della quarta vertebra sacrale,
infiltrazioni emorragiche, escoriazioni sulla tibia sinistra e al
ginocchio destro.
La rottura della vertebra e la lesione delle
radici posteriori del nervo sacrale portarono ritenzione urinaria e
bradicardia giunzionale «con conseguente aritmia mortale». Le
conseguenze dei colpi - inoltre - sono state aggravate da una totale
negligenza in ospedale, e non c’entra nessun attacco epilettico come
sosteneva una perizia. Anche se i legali dei militari sono convinti che
il pestaggio non c’entri nulla con il decesso e che molto sia dipeso
dalle mancate cure dei medici dell’ospedale Sandro Pertini.
Una
morte sino ad oggi senza responsabili - tre giudizi di merito, oltre ad
una pronuncia della Cassazione hanno portato solo ad assoluzioni
(definitive quelle degli agenti penitenziari in servizio nelle celle di
sicurezza del Tribunale di Roma, confermate nei due giudizi di appello
quelle dei medici del Pertini) - che trova nelle solide acquisizioni di
questa seconda inchiesta del pm di Roma Giovanni Musarò i presupposti
per la celebrazione di un nuovo processo e per riscrivere da capo la
storia della morte di Stefano.