il manifesto 11.7.17
Ius soli, il governo fa slittare ancora l’approvazione
Cittadinanza.
Il consiglio dei ministri non autorizza la fiducia e sposta il testo in
coda ad altri provvedimenti. La legge rischia di essere archiviata
di Carlo Lania
Sepolto
sotto una valanga di provvedimenti in modo da farlo slittare. Se va
bene, entro luglio l’aula del Senato potrà al massimo avviare la
discussione generale sullo ius soli, rinviando poi un eventuale voto sul
provvedimento a settembre quando il parlamento riaprirà dopo la pausa
estiva. Se va bene, perché l’alternativa è che la legge, attesa da venti
anni da almeno 800 mila ragazzi figli di immigrati che vivono nel
nostro paese, rischi ancora una volta di finire nel dimenticatoio. Per
le divisioni all’interno della maggioranza, con Alternativa popolare di
Angelino Alfano sempre più decisa a fermarla, ma anche per l’indecisione
del Pd, impaurito dai sondaggi e dalle conseguenze che il via libera al
provvedimento potrebbe avere sull’elettorato. E questo anche se Matteo
Renzi continua a ripetere, come ha fatto anche ieri presentando il suo
libro, di voler vedere la legge tagliare il traguardo al più preso.
Anche
se non c’erano stati annunci ufficiali, dal consiglio dei ministri di
ieri sarebbe dovuta arrivare l’autorizzazione a porre la fiducia sulla
riforma della cittadinanza, dando così seguito a tante dichiarazioni di
principio sulla volontà di approvare la legge. Ufficialmente invece,
l’argomento non sarebbe stato affrontato dal governo che ha comunque
autorizzato la fiducia su tre decreti all’esame del parlamento:
Mezzogiorno, Banche venete (attualmente alla Camera ma atteso al Senato
nei prossimi giorni) e vaccini, che quindi avranno la precedenza. A
questi si aggiungono due progetti di legge, uno dei quali sullo
spettacolo e, per finire, il ddl che autorizza il comune di Sappada a
distaccarsi dalla regione Veneto per entrare a far parte del Friuli
Venezia Giulia. Tutto in discussione a Palazzo Madama e da discutere e
approvare prima della riforma della cittadinanza. Con un calendario
così, le possibilità di arrivare entro la fine del mese al voto sullo
ius soli sono praticamente nulle. Il timore di molti, compresi alcuni
parlamentari dem, è che a settembre, quando mancheranno ormai meno di
sei mesi alle elezioni, difficilmente si tornerà a parlare di un tema
così spinoso.
Che le cose potessero finire in questo modo era
nell’aria. Anche se il diritto a diventare cittadini italiani di
migliaia di ragazzi nati nel nostro Paese o che ne frequentano le scuole
non c’entra niente con l’emergenza dovuta ai numerosi sbarchi di
migranti, quest’ultima ha finito inevitabilmente col condizionare il
dibattito. Dopo Silvio Berlusconi, per il quale il provvedimento
rappresenterebbe un fattore di attrazione per i migranti, ieri è stato
il ministro della Affari regionali Enrico Costa a chiedere alla
maggioranza un ripensamento: «Sarebbe miope – ha detto in un’intervista
al Messaggero – non osservare che il tema dei dello ius soli
nell’immaginario collettivo si interseca a quello dell’emergenza
migranti, a torto o a ragione».
La riforma resta così sospesa
nell’aria. Già era stata fatta slittare in occasione del referendum
costituzionale del 4 dicembre, perdendo così mesi preziosi. Nel
frattempo l’aggravarsi della crisi dei migranti ha condizionato le
scelte del governo e, come dimostrano le ultime uscite di Renzi, anche
del Pd. Come se non bastasse, poi, le mancate risposte da parte
dell’Unione europea alle continue richieste di collaborazione di Roma
rendono il tutto più difficile per il governo, non potendo vantare come
risultato conseguito neanche il coinvolgimento degli altri paesi
europei.
Ieri Renzi ha continuato a difendere il provvedimento,
che in passato ha più volte definito una norma di civiltà. «Io sono per
lo ius soli. Il Pd è per lo ius soli, e lo confermiamo con forza a
maggior ragione con quello che dico sui migranti», ha spiegato al
programma radiofonico Zapping riferendosi alla sua richiesta di porre un
tetto al numero dei migranti in arrivo in Italia. Sì alla legge anche
dal ministro dell’Agricoltura e vicesegretario del Pd Maurizio Martina,
per il quale la riforma va approvata «se necessario anche con la
fiducia». Peccato, però, che al momento di fiducia se ne veda poca.