Il Sole 12.7.17
Cedu. Non è contrario ai diritti dell’uomo
Lo Stato può vietare il velo islamico nei luoghi pubblici
di Marina Castellaneta
Il
divieto di indossare il velo islamico in luoghi pubblici può servire a
garantire la convivenza in una società e ad assicurare il rispetto di
alcuni valori come quello di uguaglianza uomo – donna. Di conseguenza,
il “no” imposto per legge all’utilizzo del niqab non è contrario alla
Convenzione dei diritti dell’uomo. È la Corte europea di Strasburgo a
tornare sui divieti di indossare simboli religiosi che coprano il volto
in luoghi pubblici e Strasburgo, nella sentenza Belcacemi e Oussar
depositata ieri (analoga a quella Dakir, sempre di ieri) ha dato ragione
allo Stato in causa, in questo caso il Belgio.
A rivolgersi ai
giudici internazionali due donne, una belga e una del Marocco, che
contestavano il divieto imposto dall’ordinamento del Belgio che vieta di
indossare, in luoghi pubblici, indumenti che coprano il volto
totalmente o parzialmente. A causa di questa proibizione, le donne non
potevano utilizzare il niqab. La Corte costituzionale belga aveva
respinto il ricorso e le donne hanno così scelto la strada di Strasburgo
sostenendo che era stato violato il diritto al rispetto della vita
privata (articolo 8), della libertà di religione (articolo 9) e il
diritto a non essere discriminati (articolo 14).
Di diverso avviso
la Corte europea. La legge belga – osserva Strasburgo – si propone dei
fini legittimi come la sicurezza pubblica, l’uguaglianza di genere e la
tutela della convivenza all’interno di una società. In materia di
libertà di religione, inoltre, gli Stati godono di un ampio margine di
apprezzamento. La Corte è consapevole che norme come quelle belghe
possono contribuire a consolidare stereotipi colpendo determinate
categorie di individui e creare una certa intolleranza. Così riconosce
che il divieto può limitare il pluralismo creando ostacoli alle donne
nell’espressione della propria personalità.
Tuttavia, i divieti
possono essere necessari in una società democratica anche per garantire
le relazioni tra individui e la convivenza. Di conseguenza, poiché
l’obiettivo delle autorità belghe è di favorire le relazioni tra i
componenti di una società e agevolare certe condizioni di convivenza che
lo Stato vuole per la propria società, il divieto non è incompatibile
perché è anche frutto di una scelta sulla società da formare all’interno
di uno Stato.
La legge belga è stata adottata a seguito di un
approfondito dibattito, lungo 7 anni. E non solo. Gli Stati parti alla
Convenzione europea non hanno una posizione univoca sul punto e, quindi,
le autorità nazionali hanno autonomia nella regolamentazione in
materia. Sul fronte delle sanzioni, inoltre, la legge belga prevede una
multa e il carcere solo in casi estremi, per ripetute violazioni e dopo
un’attenta valutazione dei giudici nazionali. Di qui la conclusione
sulla proporzionalità della sanzione e la piena compatibilità del
divieto con la Convenzione.