il manifesto 5.7.17
Inps: «Immigrati essenziali per il nostro Stato sociale»
Il
rapporto annuale . Il presidente Boeri dice no alla chiusura delle
frontiere: creerebbe un buco di 38 miliardi. Sì al salario minimo
fissato dalla legge. Cambiare i contratti a termine, squilibrati a
favore dell’impresa
di Antonio Sciotto
«Chiudere le frontiere
potrebbe costare un saldo netto negativo di 38 miliardi per le casse
dell’Inps. Insomma una manovrina in più da fare ogni anno per tenere i
conti sotto controllo». Conti alla mano, il presidente dell’Inps Tito
Boeri ieri – in occasione della relazione annuale sull’attività
dell’istituto – ha fornito nuovi numeri su un tema che sta dividendo il
Paese. E ha invitato a non alzare muri: «Non abbiamo bisogno di chiudere
le frontiere – ha spiegato – Al contrario, è proprio chiudendo le
frontiere che rischiamo di distruggere il nostro sistema di protezione
sociale».
«GLI IMMIGRATI – ha concluso sul punto Boeri – offrono un
contributo molto importante al finanziamento del nostro sistema di
protezione sociale e questa loro funzione è destinata a crescere nei
prossimi decenni man mano che le generazioni di lavoratori autoctoni che
entrano nel mercato del lavoro diventeranno più piccole».
Ma la
relazione è stata l’occasione per il presidente Inps di dire la sua su
molti altri temi, in alcuni casi appoggiando le politiche del governo –
con un elogio del Jobs Act, contro l’articolo 18 – in altri attaccando
di petto i sindacati, facendo intendere che i dati diffusi dalle stesse
organizzazioni sulla loro rappresentanza siano gonfiati. Ancora: Boeri
ha auspicato l’istituzione di un minimo salariale fissato dalla legge –
sulla scorta dei nuovi voucher, che già fissano una paga oraria
sganciata dai contratti – e ha chiesto di modificare i contratti a
termine, oggi troppo sbilanciati a favore degli imprenditori e a danno
dei lavoratori.
PRIMA DEI NODI politici, uno sguardo ai dati del
rapporto Inps: nel 2016 i pensionati con un reddito mensile sotto i
mille euro sono stati 5,8 milioni, il 37,5% del totale dei pensionati
italiani (15,5 milioni). Erano stati il 38% nel 2015: più alta la
percentuale di donne sotto i mille euro – il 46,8% sul totale delle
pensionate – a fronte del 27,1% degli uomini. Sono invece 1,06 milioni i
pensionati sopra i 3 mila euro al mese e 1,68 milioni (il 10,8%) quelli
che restano sotto i 500 euro al mese.
Nel 2016 l’Inps ha chiuso con
un bilancio di esercizio negativo per 6,046 miliardi, in miglioramento
rispetto ai 16,2 miliardi di rosso del 2015. Il patrimonio netto si è
ridotto alla cifra di 254 milioni di euro. Il contributo degli immigrati
è evidente: tanto più se si considera che per il momento è più alto il
valore dei contributi incassati rispetto a quello delle prestazioni
erogate.
IL PRESIDENTE BOERI è entrato quindi nel dibattito
sull’adeguamento automatico dell’età, pronunciandosi sul possibile stop
nel 2019: il blocco dell’adeguamento all’aspettativa di vita per la
pensione di vecchiaia «non è una misura a favore dei giovani – ha
spiegato – perché i costi si scaricherebbero sui nostri figli e sui
figli dei nostri figli». «Sarebbe meglio – ha quindi aggiunto –
fiscalizzare una parte dei contributi all’inizio della carriera
lavorativa per chi viene assunto con un contratto stabile».
Elogio
poi per la cancellazione dell’articolo 18: «Ha rimosso il tappo alla
crescita delle imprese sopra la soglia dei 15 dipendenti». «I nostri
studi – ha spiegato – dimostrano che c’è stata un’impennata nel numero
di imprese private che superano la soglia dei 15 addetti: dalle 8 mila
al mese di fine 2014 siamo passati alle 12 mila dopo l’introduzione del
contratto a tutele crescenti».
ANCORA, BOERI nega che vi siano legami
tra la rimozione dell’articolo 18 e il boom dei licenziamenti
disciplinari: «Avrebbe dovuto caratterizzare essenzialmente le imprese
con oltre 15 dipendenti, ma in realtà – ha spiegato – la crescita del
tasso di licenziamento è stata più rilevante nelle piccole imprese,
sostanzialmente estranee a tali riforme».
Altro nodo toccato, i
contratti a termine: Boeri nota che dopo la fine dei ricchi incentivi a
quelli a tutele crescenti (da inizio 2016) sono tornati ad aumentare,
cannibalizzando le assunzioni stabili. Sarebbe perciò «opportuno
riconsiderare il regime dei contratti a tempo determinato, che
trasferiscono troppa parte del rischio di impresa sul lavoratore,
potendo essere rinnovati ben cinque volte nell’arco di tre anni».
OK
AL SALARIO minimo fissato dalla legge: «Avrebbe il duplice vantaggio di
un decentramento della contrattazione e di uno zoccolo retributivo
minimo per quel crescente numero di lavoratori che sfugge alle maglie
della contrattazione», e dalla paga fissata dai nuovi voucher (9 euro al
netto dei contributi sociali) «il passo è breve».
Bene il Rei, il
nuovo reddito di inclusione sociale, ma la platea è ancora troppo
ristretta e le somme erogate sono ancora troppo basse: «Manca ancora in
Italia uno strumento universalistico a sostegno della disoccupazione e
dell’indigenza».