il manifesto 14.7.17
In Italia la povertà è raddoppiata in dieci anni di crisi
Rapporto
Istat Povertà in Italia 2016. Nel 2016 oltre 4 milioni di persone in
«povertà assoluta», erano la metà nel 2007. E aumenta anche il «lavoro
povero». 8 milioni e 465mila persone, pari a 2 milioni 734mila famiglie,
sono in «povertà relativa». In questa condizione si trova chi è
prigioniero della «trappola della precarietà». 7 miliardi di euro
all’anno sarebbero necessari per finanziare un sussidio contro la
povertà. 14-21 miliardi per un «reddito minimo». In Italia è in corso
una guerra economica silenziosa, ma concretissima, che precarizza tutta
la vita
di Roberto Ciccarelli
Nel paese dove si
salvano le banche con 68 miliardi di euro, non si trovano i 7 miliardi
all’anno necessari per un sostegno «universale» contro la povertà
assoluta. Senza contare i 14-21 miliardi necessari per finanziare le
ipotesi di reddito minimo che permetterebbe di affrontare seriamente un
nuovo problema: la «trappola della precarietà». Oggi in Italia chi
lavora con un reddito basso non riesce a sottrarsi alla povertà e
arrivare a fine mese.
LA CLAMOROSA asimmetria, prodotto di un
gigantesco spostamento di ricchezza verso il capitale e di politiche
economiche sbagliate come i bonus a pioggia o l’abolizione della tassa
sulla prima casa, si ritrova nel report «La povertà in Italia» nel 2016,
pubblicato ieri dall’Istat. Come sempre i dati vanno interpretati, e
visti sulla tendenza di medio periodo: gli ultimi dieci anni, quelli
della crisi. L’Istat sostiene che nel 2016 i «poveri assoluti» erano 4
milioni e 742 mila persone, pari a 1 milione e 619 mila famiglie
residenti. La «povertà relativa» riguarda 8 milioni 465mila persone,
pari a 2 milioni 734mila famiglie. Rispetto al 2015, il livello si
presenta «stabile». Dato in sé preoccupante a conferma che nulla è stato
fatto in quei 12 mesi dal governo Renzi, in un periodo in cui le
statistiche attestavano una «crescita» che non produce occupazione
fissa, né un arretramento della povertà. Tuttavia c’è qualcosa che
peggiora ancora. L’incidenza della povertà assoluta sale tra le famiglie
con tre o più figli minori e interessa più di 814 mila persone. Oggi
aumenta e colpisce 1 milione e 292 mila minori.
PARLIAMO DI
PERSONE che non riescono a raccogliere risorse primarie per il
sostentamento umano: l’acqua, il cibo, il vestiario o i soldi per un
affitto. Questa situazione riguarda anche coloro che possiedono un
lavoro. L’incidenza della povertà assoluta è doppia per i nuclei il cui
capofamiglia è un «male breadwinner» e lavora come operaio. L’Istat
registra anche un’altra tendenza: la «povertà relativa» colpisce di più
le famiglie giovani. Raggiunge il 14,6% se la persona di riferimento è
un under35 mentre scende al 7,9% nel caso di un ultra
sessantaquattrenne. L’incidenza della povertà relativa si mantiene
elevata per gli operai (18,7%) e per le famiglie dove il «breadwinner» è
in cerca di occupazione (31,0%). Suggestioni statistiche che indicano
l’esistenza di un continente sommerso: il lavoro povero, e non solo
quello della deprivazione radicale a cui spesso è associata la
tradizionale immagine della povertà.
LA SITUAZIONE GENERALE è tale
che Marco Lucchini, segretario della fondazione Banco alimentare onlus,
ha sostenuto che oltre 80 mila tonnellate di cibo distribuite in 8 mila
strutture caritative in Italia hanno arginato la crescita del fenomeno,
ma non non risolvono l’emergenza sociale più dimenticata nel Belpaese.
Dieci anni fa, nel 2007, i poveri assoluti erano 2 milioni e 427 mila
persone. Oggi sono raddoppiati: 4 milioni e 742 mila. È uno scenario di
guerra, quella economica che prosegue silente, ma concretissima, da
anni. A tutti i livelli.
I RIMEDI SONO PANNICELLI CALDI. Ieri il
ministro del Welfare Giuliano Poletti si affannava, ancora, nel
tentativo di spiegare come il governo ha modificato i criteri di accesso
alla prima, e modesta, misura «contro la povertà». Quest’anno 800 mila
persone dovrebbero prima beneficiare della social card del «Sia» che
sarà trasformata in corsa nel «reddito di inclusione». La sproporzione è
evidentissima: solo i poveri assoluti sono 4 milioni e 742 mila
persone. Ci sarebbe bisogno di una misura pluriennale crescente fino a 7
miliardi, ma i fondi stanziati resteranno fermi al miliardo. E poi
dovranno essere rifinanziati. Ma questa è un’altra storia: riguarderà la
prossima legislatura. Quindi un altro mondo, un altro universo,
lontanissimo. Concretamente si parla di un sussidio di ultima istanza
che va da un minino di 190 a un massimo di 485 euro per le famiglie più
numerose con 5 componenti. Importi per di più vincolati a una serie di
condizionalità che rendono tale sussidio tutto tranne che «universale».
LA
DISCONNESSIONE TOTALE tra la politica economica seguita in questi 10
anni e la condizione materiale che urla da questi dati è evidente.
L’Alleanza contro la povertà, il cartello di associazioni e sindacati
che ha premuto per ottenere il «reddito di inclusione» chiede
l’introduzione di un piano pluriennale già dalla prossima legge di
bilancio che permetta a chi non ha una famiglia con figli di condurre
uno standard di vita dignitoso. Susanna Camusso (Cgil) ritiene che tale
«reddito» sia uno «strumento corretto da finanziare» evitando di
«distribuire bonus a pioggia». Il Movimento 5 Stelle attribuisce gran
parte delle responsabilità di questa situazione «all’immobilismo
politico del governo Renzi». Giulio Marcon (Sinistra Italiana) fa un
ragionamento di sistema: questo è il frutto del cieco rigore delle
politiche Ue e dell’incapacità dei governi di uscire dalle
disuguaglianze e dalla precarizzazione progressiva