giovedì 13 luglio 2017

il manifesto 13.7.17
La crisi di rappresentanza del Pd e la lista unica delle sinistre (al plurale)
Sinistra. I due errori da evitare per non ripetere i fallimenti passati. Non serve una fusione a freddo e non si tratta solo di una questione di programmi
di Marco Valbruzzi

Una nuova formazione politica alla sinistra del Pd non può nascere come sommatoria di liste o per collage di leader o leaderini. Una presunta o possibile lista delle sinistre (al plurale), compreso il bilancino per calibrare le quote di candidature di ciascuna componente, è destinata al fallimento.
Un nuovo partito di sinistra, se vuole essere un’organizzazione seria destinata a durare nel tempo, deve partire dal basso, dalla società, dalle innumerevoli esperienze civiche e associative che tengono ancora in vita la politica a livello locale.
Già il Pd, al momento della sua formazione, aveva completamente dimenticato la questione delle basi sociali sulle quali fondare la propria proposta di rappresentanza politica. L’illusione veltroniana di poter tenere assieme un po’ di tutto – operai del settore manifatturiero con i grandi imprenditori integrati nel mercato internazionale, i dimenticati dalla globalizzazione con i ceti medi riflessivi e girotondini, i giovani non garantiti da un mercato del lavoro sempre più iniquo con una schiera crescente di pensionati, i rappresentanti delle piccole e medie imprese con i dipendenti del nostro settore pubblico – si è rivelata fallimentare: un’illusione maggioritaria che poteva funzionare in tempi “normali”, ma che è stata giustamente travolta appena la crisi economica ne ha portato alla luce tutte le contraddizioni. Da qui nasce la crisi del Pd; non dalla leadership di Renzi o dalle mille correnti vocianti al suo interno.
Il Pd si è lacerato perché – come tutte le socialdemocrazie europee oggi in crisi – non ha saputo compiere delle scelte chiare che permettessero di identificare con relativa precisione le rappresentanze sociali a cui rivolgere il proprio messaggio. A dispetto delle cronache giornalistiche e forse anche al di là delle intenzioni degli stessi protagonisti politici, la scissione del Pd non è stata dettata (soltanto) da personalismi di corto respiro. Dietro quella scissione c’è – la si voglia vedere o no – una riflessione ben più profonda che riguarda la questione della rappresentanza sociale all’interno di un partito che, nell’ansia di voler rappresentare un po’ tutti, non è riuscito a rappresentare nessuno.
Se questo è lo stato dei fatti, bisogna evitare di compiere gli stessi errori del passato. Il primo errore da evitare è di creare una nuova formazione politica mettendo semplicemente assieme pezzi di nomenklatura che ormai hanno esaurito tutte le loro capacità di rappresentanza. Non è da un’altra fusione fredda che potrà emergere un nuovo partito per la, o della, sinistra italiana.
Il secondo errore da scongiurare è di costruire un partito senza un’identità ben definita e con una cultura politica dai contorni imprecisati. Si badi bene: non è solo una questione di programmi, come si ripete da più parti e stancamente in questi giorni. Si tratta di scelte di fondo chiare sui valori identitari della sinistra: uguaglianza, solidarietà, etica. Ma soprattutto si tratta di capire a quali ceti o strati sociali si vuole dare voce e rappresentanza.
Qui vanno prese decisioni chiare: quali progetti si offrono alle nuove generazioni che trovano invalicabili barriere all’ingresso nel mercato del lavoro? Quali tutele si danno ai lavoratori in attività manuali e routinarie destinati ad essere travolti dalla rivoluzione informatico-tecnologica? Quali diritti sociali si devono riconoscere a tutti gli individui, in ogni momento della loro vita? Quali garanzie di welfare vanno assegnate a chi è costretto a convivere con la precarietà quotidiana? Quali standard di sicurezza bisogna assicurare a cittadini che si sentono ormai abbandonati dallo Stato?
È su questi temi che la “nuova” sinistra deve ricostruire la propria identità, presentandola in un contenitore chiaro e con un leader sufficientemente credibile. Soltanto dopo sarà possibile costruire un dialogo con le altre forze politiche che condividono una visione progressista della società e della politica. Il confronto è possibile soltanto tra soggetti che sanno chi sono e cosa vogliono. Altrimenti c’è solo confusione.