il manifesto 11.7.17
C’è vita a sinistra e serve una lista, contro i malati di realismo
C'è
vita a sinistra. Le mie obiezioni a chi interviene sul Forum del
giornale e dice «con questi personaggi, con questo dibattito non andiamo
da nessuna parte». Invece di dire «ci sto, mi interessa»
Al forum sulla sinistra del 6 luglio
© Ginevra Lucidi
Enzo Scandurra
Edizione del
11.07.2017
Pubblicato
10.7.2017, 23:59
Dopo
il Forum C’è vita a sinistra (il manifesto, 8 luglio), ho letto, con
attenzione, i commenti scambiati attraverso le reti dei social. Commenti
disincantati, qualche volta delusi, del tipo: «Con questi personaggi e
con questo dibattito, non andiamo da nessuna parte».
Ho da obiettare.
Quando
studiavo Storia dell’Architettura mi insegnarono che le cattedrali si
costruiscono con le pietre che si trovano nei dintorni. Ma per non far
torto ai partecipanti del Forum – nei riguardi dei quali questa
affermazione potrebbe essere scambiata quasi per un insulto -, voglio
dire che i D’Alema, gli Asor Rosa e gli altri partecipanti (forse non
tutti) si sono dimostrati disponibili (e a titolo gratuito,
politicamente parlando) a mettersi in gioco, a spendersi per la comune
causa di un vero cambiamento a sinistra, come si conviene agli
intellettuali e ai politici coraggiosi e degni di questo nome.
In
questo confronto i veri “vecchi” mi sono sembrati coloro che si ostinano
a non scorgere i tanti segnali (contraddittori? Forse) di vita a
sinistra, come fossero in attesa di un messia che sveglia d’incanto le
masse addormentate.
In una intervista (Alias dell’8 luglio), a
proposito del film di Rossellini Germania anno zero, Luc Dardenne
afferma che: «Bisogna cominciare con il cominciamento. E il
cominciamento di tutto è il coraggio».
Coraggio che «è il momento
della decisione radicale, un momento di rottura e non la risultante di
un processo di continuità, il momento di una decisione che non è frutto
di un sapere e che, al contrario, si produce grazie e malgrado la
conoscenza del pericolo che si corre, della paura che si avverte».
Ora
io credo che siamo in questa fase particolare che richiederebbe
l’abbandono (non la rimozione, certo) delle incertezze, delle tante
illusioni tradite, degli errori compiuti in questo tentativo, per
scoprirci ottimisti e fiduciosi e coraggiosi “malgrado”, malgrado tutto.
E questo anche perché ogni cinismo politico, sia pur improntato al
realismo di ciò che è successo, in questa fase, è una manifestazione di
rinuncia.
Siamo ormai diventati troppo abili nel criticare Renzi e
le sue derive di destra, così come siamo diventati professionisti della
disfatta che quasi evochiamo, prima ancora di metterci in marcia, prima
ancora che questa si realizzi (o si autorealizzi).
Quando ascolto
D’Alema parlare della nuova sinistra, o Asor Rosa, o Montanari, non mi
chiedo cosa abbiano fatto, o non fatto, costoro nel passato. Mi dico
invece: ma non è quello che speravamo che costoro prima o poi facessero?
Che gridassero ai quattro venti che “il sovrano è nudo”, come sapevamo
da tempo, ma come non riuscivamo a dire? Non parlavamo noi del silenzio
(colpevole) degli intellettuali?
So che non basta. Non saranno
(solo) loro a cambiare le cose (ma neppure essi lo pensano); ma perché
tanto cinismo e risentimento di compagni mascherato da realismo? Il
realismo può diventare una malattia mortale quando ci impedisce di
vedere i segnali del cambiamento; diventa un freno alle passioni,
irretisce le menti anziché illuminarle.
Abbiamo già un campione
del realismo: è Renzi, che ad ogni girar di vento, cambia tattica e
obiettivi (ora, ad esempio, è in sintonia con Salvini sulla questione
della difesa delle frontiere). Realisti erano quegli intellettuali che,
appena affermato il fascismo, si radunavano sotto il balcone di Piazza
Venezia per sentire i discorsi del Duce. E poi, a sera, si rivedevano in
un’osteria a ridacchiare delle cose ascoltate: «questo qui», dicevano
con realismo, «non dura più di un mese». Mussolini dimostrò più fantasia
di loro e sappiamo come è andata a finire quella storia.
Mi
piacerebbe che su questo giornale e sui social arrivassero migliaia
(milioni?) di lettere con la scritta «Io ci sto!» o, «Per favore, voi
che avete l’ambizione di rappresentarci, mettete da parte i vostri
problemi personali; vogliamo una sola lista di sinistra alle urne, altre
soluzioni non le accetteremmo».
Non sarebbe falso ottimismo ed è inutile invocare la memoria triste dell’Arcobaleno.
La
storia non si ripete mai nello stesso modo due volte, se non nelle
menti malate dei realisti. Uno slogan del maggio francese del
Sessantotto diceva: «Ancora uno sforzo compagni…», e questa volta la
storia può cambiare.