il manifesto 11.7.17
Il discreto potere di un sogno imperiale
Saggi.
«Cina globale» di Simone Pieranni per manifestolibri. La via della seta
che conduce a una società cinese della conoscenza. Un progetto che si
scontra con la perdurante leadership degli Stati Uniti
di Toni Negri
Simone
Pieranni ci offre, in un rapido scritto, l’immagine della Cina globale
(manifestolibri, pp. 95, euro 8). Ci propone cioé la questione del
presentarsi della Cina sull’orizzonte globale e si interroga su cosa
significhi. Fino ad un decennio fa, prima della grande crisi, una tale
questione si sarebbe detta inverosimile (anche per i «pochissimi» che,
come Giovanni Arrighi, se l’erano posta con toni profetici). Oggi
invece, corrisponde ad una urgenza dell’intelligenza geopolitica.
Centralità globale della Cina, dunque? La cosa puo essere analizzata da
due punti di vista. Da un lato, considerando la continuità della grande
rinascita della nazione cinese: una rinascita costruita e gestita dal
Pcc e collegata sempre di più, ad una identità fantasmata in un lontano
passato imperiale, prima dell’epoca delle umiliazioni, prima della
vergogna coloniale subita a partire dal diciannovesimo secolo, capace di
ritrovare una forte dinamica. Questa vocazione la Cina la trova a
partire dalla grande crisi del 2008. Essa è l’unico grande paese
industriale che subisce la crisi in maniera secondaria: ciò le permette
oggi di esprimere una politica globale, da «grande potenza».
COMPLEMENTARE
sarà un’altra domanda: al nuovo secolo cinese corrisponde forse il
declino americano? Si può davvero pensare che il predominio geopolitico
americano abbia lasciato spazio alla nuova potenza cinese? La
discussione è aperta. E, prudentemente, Pieranni analizza le ragioni che
vanno a favore o contro quella previsione. Particolare attenzione
concede all’opera di Joseph Nye Jr e alla sua teoria del soft power
americano: laddove alla domanda sul declino americano si risponde che
gli Stati Uniti restano il paese più potente, sia dal punto di vista
militare, sia dal punto di vista economico (avendo intrecciato il mondo
di un sistema orizzontale di rapporti politici, finanziari, monetari,
industriali e commerciali) ma che questa loro condizione, organizzata
appunto su strumenti e su un deposito di soft power, non mantiene più
una dimensione egemonica.
È quindi sul terreno egemonico, che
l’alternativa cinese si propone. Essa evita di presentarsi in un
confronto diretto con la potenza americana ma agisce piuttosto in
maniera trasversale. Ecco ad esempio i principali fondamentali del soft
power cinese secondo Pieranni: «è in questo senso il contrario di quello
americano a cui siamo stati abituati in Occidente. La Cina non pone
condizioni o problematiche di natura politica: democrazia o meno, gli
affari si possono fare egualmente… La globalizazione cinese ed il suo
concetto di global governance si basa dunque su alcuni assiomi: armonia
dal punto di vista diplomatico, mercati liberi ed in grado di far girare
agevolmente merci e investimenti, pace tra le nazioni e un “destino
comune” fatto di prosperità».
A PARTIRE da questi presupposti, da
alcuni anni la Cina si è lanciata nel grande progetto della «via della
seta» : un percorso marittimo e terrestre, sul quale costruire
infrastrutture che permettano un più stretto collegamento fra la Cina,
l’Asia centrale e meridionale e l’Europa. Una grande banca di sviluppo è
stata disposta a questo progetto, per la prima volta competitiva con le
banche di investimento internazionali (più o meno sotto controllo Usa).
Ma la competitività è fortemente sottaciuta da parte cinese ed
investitori di tutti i paesi (ivi compresi americani) sono sollecitati
alla partecipazione. Su queste basi programmatiche, e più recentemente
assumendo una posizione di contrasto con ogni riflusso protezionista ed a
favore del mercato globale, la Cina è comparsa come garanzia della
globalizzazzione, nello stesso momento in cui le politiche di Trump
facevano tremare molti dei paesi fin qui impegnati nell’enorme conflitto
di dare regole al mercato globale.
Pieranni sottolinea anche le
difficoltà che nel produrre questo progetto e nel portarlo a termine, la
Cina si troverà dinanzi. Le vede, ovviamente, nell’asprezza del compito
da perseguire sulla «via della seta», nell’incrociarsi di ostilità
nazionaliste e di pretese egemoniche (India e Russia particolarmente
attive a situare il loro « maldipancia» su una mediana di accettazioni e
di rifiuti). Insiste anche sulle incertezze, le turbolenze e gli
improvvisi sussulti che la struttura del partito comunista cinese – pur
essendosi avviato ad un ulteriore passo nella direzione della
trasparenza dei processi decisionali e della democrazia interna del
paese – rischia sempre di subire.
MI CHIEDEREI a questo punto, se
due ulteriori questioni non debbano essere sollevate. La prima, che è la
più importante, riguarda lo studio delle interazioni di questo processo
internazionale egemonico intrapreso dalla Cina e l’attuale fase di
trasformazione del paese e soprattutto del suo modo di produzione: la
mutazione cioé della struttura produttiva, dall’essere il laboratorio
industriale globale della produzione mercantile, al rapido ed impetuoso
divenire imprenditore del General Intellect, il centro globale della
produzione robotizzata ed automatica. L’equilibrio tra questa
trasformazione e l’allargamento globale dello spazio finanziario e
commerciale non andrà senza difficoltà. E non sarà facile riorganizzare
un mercato interno del lavoro che le classi scolarizzate e
l’intellettualità di massa cominciano ad occupare in maniera stabile. In
secondo luogo, per dirla chiaramente, sono talvolta spaventato
dall’intensità della lotta ideologica attorno alla ridefinizione della
«nazione» cinese. È fuori dubbio, e Pieranni sarà d’accordo, che ogni
definizione di populismo diventerà derisoria se dovessimo confrontarla
alla nascita di un eventuale nazionalismo cinese, all’emergere, non più
fantasmatico, di un «dragone rosso». Malgrado tutto – ed è opportuno
doverlo ammettere – il partito comunista cinese si rivela assai efficace
nel controllare ogni pericolo su questo terreno.
IL LIBRO di
Pieranni non è cosi secco come la nostra presentazione lo ha fatto. È al
contrario elegante e fluente ed il ragionamento politico è interrotto
da informazioni interessanti e curiose – come ad esempio quelle che
riguardano il controllo dei «corridoi» creati sulla «via della seta» e
l’espandersi, anche al servizio delle imprese cinesi, delle milizie
mercenarie create negli States (Blackwater e altre).
Ed ha,
inoltre, il merito tutto teorico di identificare il nuovo terreno sul
quale, oggi, la ricerca dell’ordine globale (e le alternative ad esso)
non puo non concentrarsi. L’ordine globale sta infatti costruendosi
sull’orizzontale dei rapporti di forza piuttosto che sull’asse verticale
del potere sovrano, ed è investito da flussi globali ed attraversa le
frontiere, si propone di coordinare mobilità e molteplicità degli
attori. Se lì si forma l’ordine mondiale, è lì dentro che dobbiamo
analizzare i rapporti di sfruttamento ed organizzare la lotta di classe.